Le anomalie del sistema giudiziario italiano finiscono ancora nel mirino della Commissione europea. E questa volta l’Italia, se non correrà ai ripari entro i prossimi 6-7 mesi, rischia seriamente di dover pagare una multa salata. Perché Bruxelles ha deciso di aprire una nuova (la seconda nell’arco degli ultimi anni) procedura d’infrazione contro la normativa nazionale che, a suo giudizio, limita eccessivamente la responsabilità civile dello Stato davanti ai danni causati dagli errori dei giudici nell’applicazione del diritto comunitario.

Nei prossimi giorni dal quartier generale dell’esecutivo europeo, e più esattamente dal gabinetto del presidente Josè Manuel Barroso, partirà quindi alla volta di Roma una lettera di messa in mora, prima tappa della procedura d’infrazione che stavolta seguirà però un iter accelerato rispetto a quanto avvenuto in passato poiché si è in presenza del mancato rispetto di una precedente sentenza.

La Corte di giustizia Ue ha infatti condannato già una volta l’Italia, nel novembre del 2011, ritenendo la legge nazionale, che fissa paletti troppo stretti alla responsabilità dei giudici e dello Stato, incompatibile con il diritto europeo. E visto che da allora sono passati quasi due anni senza il varo di alcun intervento correttivo da parte del Parlamento – come invece sarebbe dovuto avvenire in ottemperanza dall’obbligo derivante dal pronunciamento dei giudici europei – a Bruxelles non è rimasto che tornare alla carica.

Vietti (Csm): “Non si tratta di responsabilità civile dei magistrati”
Qui, però, si inserisce la precisazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti, secondo il quale nessun “obbligo per l’Italia di introdurre una responsabilità diretta e personale del singolo giudice”; l’Europa “anzi conferma che nei confronti del cittadino l’unico responsabile è lo Stato”. Secondo Vietti, dunque, “dall’Europa nulla di nuovo: Bruxelles si limita a constatare che l’Italia non ha dato seguito alla sentenza di condanna della Corte di giustizia Ue”. La pronuncia – spiega il numero due di palazzo dei marescialli – ribadiva la responsabilità diretta dello Stato nei confronti del cittadino, affermando che la responsabilità stessa non può essere limitata da una normativa interna che la prevede nei soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ma deve essere ampliata a tutti i casi di erronea applicazione della norma comunitaria”. “Se invece di passare il tempo a polemizzare a uso interno su quello che la Corte non ha detto – conclude Vietti – avessimo provveduto a uniformarci alla sua pronuncia, non ci troveremmo esposti a una nuova bacchettata”.

Pdl euforico: “Abbiamo ragione noi”
Il riferimento di Vietti è chiaro e si dirige verso il Pdl che, appena è uscita la presa di posizione dell’Unione europea, è partito all’attacco. “Era ora che l’Europa si accorgesse che qualcosa non va nel funzionamento della giustizia”, ha commentato il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. E per il presidente dei senatori Renato Schifani l’apertura della procedura “dimostra che nel nostro Paese, ora più che mai, c’è l’urgenza di regolamentare la materia secondo le indicazioni dell’Europa”. Renato Brunetta ha così il destro per mandare a dire al presidente del Consiglio Enrico Letta di accelerare con la riforma della giustizia.

Gli avvocati: “Serve una riforma”. I magistrati: “No a condizionamenti”
Sulla questione è intervenuto anche il presidente dell’Unione delle Camere penali Valerio Spigarelli, il quale ha osservato che la procedura d’infrazione è un atto “importante”, che “segnala la necessità di una riforma generale della legge sulla responsabilità civile dei magistrati. E il referendum che abbiamo promosso si muove su questa linea”. L’Anm è invece scesa in campo per sottolineare che “l’Europa ha parlato di responsabilità dello Stato” e non è entrata “nella questione della responsabilità personale dei giudici” poiché questo “è un problema di diritto interno regolato diversamente nei vari Stati membri”. “Denunceremo ogni tentativo di condizionamento dei magistrati – ha detto il presidente dell’Associazione magistrati Rodolfo Sabelli – attraverso una disciplina della responsabilità civile che violi il principio di autonomia e indipendenza”.

Cosa dice la legge italiana
La norma italiana che regola la responsabilità civile dei magistrati è la 117 del 1988. All’articolo 1, la legge stabilisce l’ambito di applicazione, specificando che i destinatari sono “tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria”, nonché gli “estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” e i “magistrati che esercitano le proprie funzioni in organi collegiali”. Centrale l’articolo 2. Quest’articolo stabilisce innanzitutto chi può chiedere i danni allo Stato, ossia: “Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia”. Successivamente, però, al comma 2 quest’articolo fissa dei paletti e dice che “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”. Poi si concentra su cosa costituisca colpa grave: si va dalla “grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile” alla “emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”. L’articolo 3 invece puntualizza cosa sia il diniego di giustizia, ossia “il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio”.

La Commissione Ue contesta proprio i limiti posti nella legge italiana, e in particolare quelli contenuti nell’articolo 2, perché non congruenti con la normativa comunitaria. Limiti che furono oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia europea emessa il 24 novembre 2011 e non rispettata dall’Italia secondo la Commissione, che è quindi intervenuta.

La proposta di Pini (Lega Nord)
L’ipotesi di rendere più severe le disposizioni sulla responsabilità civile dei giudici è stata a lungo dibattuta. Il leghista Gianluca Pini tentò di introdurre misure in tal senso nella legge comunitaria 2010, attraverso un emendamento che prevedeva la responsabilità diretta. Nel 2012 se n’è tornato a parlare durante l’esame delle legge anti-corruzione, messa a punto quando ministro della Giustizia era Paola Severino. Ora è uno dei quesiti referendari promossi dai Radicali a riaccendere i riflettori: quello che chiede l’abrogazione dell’art. 2 comma, 2 e dell’art. 5 della legge dell’88.

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