Nel corso del 2012, l’ultimo anno per il quali sono disponibili dati completi, le principali banche internazionali hanno migliorato la loro situazione patrimoniale complessiva. Allo stato attuale dei conti, tuttavia, i cento maggiori istituti del pianeta evidenziano ancora un deficit complessivo di capitale  di 155 miliardi di dollari, più o meno 115 miliardi di euro. L’ammanco generale si concentra soprattutto in Europa dove i 42 maggiori istituti sono chiamati a reperire ancora circa 70 miliardi di euro da qui al 2019 con l’obiettivo di adeguarsi ai requisiti patrimoniali imposti dai regolatori. Lo riferiscono due distinti rapporti pubblicati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri) e dall’Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority, Eba).

Lo studio dell’Eba, in particolare, ha coinvolto un campione di 170 banche europee. Quarantadue rientrano nel cosiddetto Gruppo 1 (patrimonio base maggiore di 3 miliardi), le altre 128 sono istituti di dimensioni più ridotte (Gruppo 2) per i quali l’ammanco complessivo si colloca a 25,9 miliardi. I rapporti forniscono solo dati aggregati senza comunicare cifre esatte sullo stato patrimoniale dei singoli istituti o dei sottoinsiemi a livello nazionale. Due banche italiane rientrano nel Gruppo 1 dello studio Eba, mentre 11 sono classificate nel cosiddetto Gruppo 2.

Le cifre fanno riferimento alle norme imposte dalla nuova regolamentazione promossa dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. Il piano, approvato nel 2010 e ratificato nello scorso luglio anche dagli Stati Uniti, impone alle banche di incrementare i propri livelli patrimoniali attraverso un aumento delle componenti meno rischiose del proprio bilancio, le azioni ordinarie e le riserve di liquidità, calcolate in termini percentuali rispetto al controvalore delle loro attività (prestiti ed investimenti). L’obiettivo generale consiste quindi nel rafforzamento della capacità delle banche stesse di sostenere con le proprie forze eventuali shock creditizi senza dover ricorrere ai prestiti pubblici d’emergenza, ovvero al salvataggio statale tramite l’impiego del denaro dei contribuenti. Esattamente ciò che è accaduto dopo la bancarotta della Lehman Brothers, per intenderci.

Il principio è ampiamente condiviso, ma non mancano da tempo le questioni irrisolte. Il piano di adeguamento patrimoniale, infatti, impone alle banche un accumulo di risorse che rischia di penalizzare l’erogazione dei prestiti in un contesto di recessione. Nel 2010, il presidente del comitato strategico del Tesoro francese ed ex presidente del Fmi, Jacques de Larosière, contestò il provvedimento sostenendo che le banche europee avrebbero finito inevitabilmente per scaricare i costi di Basilea III sulla clientela riducendo al tempo stesso le attività meno redditizie (i prestiti a cittadini e imprese) per concentrarsi su quelle a maggiore rendimento (le attività speculative). Il problema resta tuttora aperto.

Il programma di adeguamento ai nuovi parametri, in ogni caso, procede secondo i piani in modo graduale con risultati comunque apprezzabili. L’ammanco complessivo da 115 miliardi di euro registrato dai 101 istituti più grandi su scala mondiale, nota la Bri, evidenzia una riduzione totale del deficit pari a quasi 83 miliardi rispetto alla rilevazione precedente datata giugno 2012. Una diminuzione del deficit si è registrata anche in Europa dove secondo il rapporto Eba, le principali banche del Continente registravano nel giugno 2012 un ammanco complessivo superiore di circa 29 miliardi.

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