Mentre Angela Merkel stravince le elezioni in Germania e segna la scomparsa dei partiti socialdemocratici europei per manifesta incapacità a rinnovarsi, il nuovo Iphone 5 torna (700 euro al pezzo, minimo!) ad andare a ruba tra milioni di consumatori/elettori. Così anche i ciechi potranno prendere atto che la fine dello Stato sociale è arrivata, che i desideri e i sogni della gente stanno altrove, non certo in un progetto civile, al punto che possiamo dire che molte o quasi tutte le idee sulla base delle quali i paesi occidentali parevano voler sviluppare un modello di convivenza basato sull’uguaglianza, la libertà e la giustizia sono finite al cassonetto.

Non dico dell’Italia, dove la pochezza istituzionale dei nostri rappresentanti soverchia qualsiasi idea, compresi i lati negativi. In generale in tutto il mondo stiamo assistendo a una rivoluzione silenziosa, di cui coglieremo fra pochi decenni i veri effetti. E ogni speranza di riequilibrio è veramente confinata solo alle aspirazioni naive dell’Africa, alle sua potenziale forza eversiva.

La Cultura è stata messa da parte per sempre e ogni possibilità di un po’ di quel progresso che essa ci garantiva è definitivamente tramontata. Il progresso scientifico intendiamoci è un’altra cosa, e va, zoppo, anche senza consapevole progresso culturale. Nuovi «modelli culturali» si sono sostituiti, ma per le loro caratteristiche di rottura rispetto a quelli del passato, sono incapaci di perpetuare il meccanismo virtuoso cultura-progresso. La cultura dell’era di internet è una cultura senza Cultura, informazioni sparpagliate e diffuse prive di un progetto omogeneo, senza la vita, l’anima e la struttura che solo un disegno culturale e civile può darci. Così non stupisce che allo studio delle scienze mediche si accede tramite un quiz, svincolato da ogni conoscenza organica. E nessuno pensa più al disegno sotteso alle milioni di informazioni delle quali disponiamo.

La Cultura, quella vera, fatta di metodo e di organizzazione prima ancora che di contenuti, ha sempre supplito ai nostri limiti strutturali, svolgendo un po’ il ruolo del meccanico, riparando e facendo ripartire ciò che noi con l’uso quotidiano eravamo soliti spaccare. Nuove idee e via si ripartiva. Ma questo imponeva l’accettazione di un lessico e di una sintassi comuni, di premesse di comportamento globalmente accettate. Per sedere a tavola si dovevano saper usare le posate, per svolgere funzioni pubbliche era implicito avere la fedina penale pulita. Oggi l’unica premessa condivisa pare essere la legge del più forte.

Così questa speranza di progresso se ne è andata e con esso il sogno di un mondo migliore, come risultato di un progetto culturale ancorché casuale, ma condiviso. Ciò che non è stato distrutto da due guerre mondiali, dal comunismo e dal nazionalsocialismo è stato fatto a pezzi da un individualismo ignorante e utilitaristico. Tutti al telefono e quello più caro. O sogniamo una società migliore per andare incontro alle esigenze dei più deboli, o sogniamo l’Iphone. O una o l’altra, non è una tragedia, basta prenderne atto.

La socialdemocrazia, l’idea che ci fossero doveri collettivi alla base della convivenza, è stata azzerata dal principio dell’ognuno per sé. La Cultura come capacità razionale di distinguere e separare, come fattore di educazione e di sviluppo, come possibilità di trasformare gli uomini e le istituzioni non esiste più. Non conta più, solo la ricchezza – quella ottenuta a qualsiasi costo – stratifica la società. Al suo posto ci restano degli inerti, carissimi telefonini (smart!), pieni di dati e funzioni, che sfuggono totalmente al nostro controllo e forse anche alle nostre possibilità.

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