Ormai già lo si era capito dal precedente dicastero Mario Monti & Co: in sede governativa l’aggettivo “tecnico” sta a significare una via di mezzo tra l’elefante nella cristalliera e lo svenuto tra la folla. Difatti il ministro tecnico Fabrizio Saccomanni, mentre un filo di fumo gli fuoriesce dall’orecchio (sintomo evidente che la problematica quadratura dei cerchi Iva e Imu gli ha definitivamente fuso il cervello), dichiara da bravo bricoleur della politica che “sui conti pubblici bisognerebbe dire la verità agli italiani”.

Ciò significa – se le parole hanno ancora un significato – che sino ad oggi ci avevano raccontate soltanto balle… Del resto, un po’ lo si era capito, stante che l’abolizione universale dell’imposta sulla casa era un evidente spot berlusconiano indirizzato al proprio target elettorale. Però ci assicuravano trattarsi del costo da pagare per il “bene supremo” della stabilità. Ora sappiamo che tale prezzo era così esorbitante da aprire una voragine nei conti pubblici; al punto di far ipotizzare il rimedio–boomerang di un aumento dell’Iva, che è un po’ come toccare i fili dell’alta tensione: si rischia di restare fulminati, dato che se aumenti quella tassa deprimi i consumi e fai calare il gettito. Insomma, qualcosa tipo martellarsi sotto la cintura alla Tafazzi.

Non potevano rendersene conto prima, direte voi? Di certo le priorità erano altre, la risposta obbligata. Fatto sta che questa politica astutissima è appannaggio di maldestri e improvvisati (seppure determinatissimi nel presidio degli orticelli di potere), i quali pretendono di salvare la faccia (e – così facendo – nascondere le proprie macroscopiche incompetenze) praticando l’arte salvifica dei preliminari.

Ieri sera Gianni Cuperlo, aspirante segretario del Partito Democratico, diceva la sua da Corrado Formigli, in casa de “La 7”; arrotando la erre e sgranando l’occhio ceruleo dallo sguardo liquido: un bel profilo di candidato a far tappezzeria. I suoi ragionamenti sospirosi sulla crisi dell’Italia erano riassumibili nell’auspicio che “si apra un dibattito”. Qualcosa tipo il tormentone da cineforum fantozziano; con oggetto della disquisizione annunciata il carrello della spesa degli italiani, a precipizio come la carrozzina della “Corazzata Potemkin” di Eisenstein. In tutta la giornata aveva dominato l’intasamento mediatico delle dichiarazioni di Matteo Renzi, avversario di Cuperlo, sovreccitato per la sensazione che la vecchia nomenclatura (palesemente orientata a preferirgli l’altro, il sospiroso pesce lesso) starebbe imbastendogli un trappolone congressuale. Per questo si scatenava in un esercizio che pretenderebbe di essere l’alternativa al politichese, mentre si riduce alla semplice lettura della lista politica della spesa: riforma della pubblica amministrazione, riforma elettorale, riforma del lavoro…

Come realizzare tali propositi? Niet. Nada. Nothing. Nisba. Perché anche il grande rinnovatore resta bloccato alla dimensione canonica dei preliminari. Prudentemente; così non si sbaglia, si fa a buon mercato la figura del giovane pensoso e carico di buoni sentimenti, così non si scontenta nessuno scendendo nei dettagli e si acchiappa il consenso generale (finché il popolo presunto bue non inizierà a capire il trucco…).

Insomma, la sagra delle genericità per cui sorge spontanea la domanda: nel mezzo di tutti i guai in cui siamo precipitati, quello che ci occorre sono i metodologi della discussione (i puntigliosi elencatori dei problemi per titoli) oppure avremmo bisogno di una qualche ideuzza? Difatti lo slogan di tutti i corridori ai banchi di partenza del Grand Prix per la segreteria Pd è “un’idea di Italia”. Fatto sta che una politica con la “p” maiuscola dovrebbe essersela già formulata l’idea di che Paese intenderebbe realizzare. Per essere pronta a passare alla discussione sul come realizzarla, tale benedetta idea. Il fatto che – invece – ci si aggrappi all’alibi dei preliminari la dice lunga sullo spessore politico del personale in pista. Mentre la notizia del giorno – gli spagnoli si sono comperati Telecom, l’ex campione nazionale nel settore strategico della telefonia mobile – potrebbe farci aprire gli occhi sulla realtà in cui ci troviamo. Nonostante quanti ci avevano assicurato la fine della crisi. Nonostante i giovanotti impegnati con grande dispendio di energie a illuderci che la loro sfrenata ambizione (parolaia) coinciderebbe con la salvezza di tutti noi.

Articolo Precedente

Occhetto: l’ira di Achille verso la sinistra

next
Articolo Successivo

Finanziamento partiti, non c’è l’accordo tra Pd e Pdl sugli emendamenti

next