L’ipotesi della quarta norma ad aziendam per salvare le aziende dei Riva è sfumata. Almeno per il momento. Nell’incontro tra il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, il rappresentate del Gruppo Riva, Bruno Ferrante e il custode giudiziario delle 13 società sequestrate dalla magistratura di Taranto, Mario Tagarelli, è saltata l’ipotesi di approvare una modifica alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale introducendo l’articolo 104 ter.

 Uscendo dalla riunione, a cui hanno preso parte anche il ministro del Lavoro Enrico Giovannini e il sottosegratario alla presidenza del Consiglio dei ministri Roberto Garofoli, Zanonato ha spiegato: “Stiamo cercando un percorso che risolva il problema, c’è la volontà di farlo in tempi rapidissimi” e ha aggiunto che “l’azienda sta già scrivendo al gip per vedere se è possibile sbloccare i fondi, che invece finirebbero nel Fondo unico di giustizia, all’interno della norma attuale”. Sulla vicenda quindi, dovrebbe esprimersi il gip Patrizia Todisco dopo aver ottenuto il parere della procura di Taranto. Secondo le indiscrezioni, però, l’opposizione all’ipotesi di una nuova norma per gestire i fondi sarebbe giunta da Garofoli. L’introduzione di poteri maggiori nelle mani dei custodi e lo sblocco dei fondi sequestrati, avrebbe infatti creato un precedente – almeno con la bozza studiata in queste ore al ministero dello sviluppo economico – che potrebbe portare una serie di ricadute su tutti i casi di sequestro preventivo in corso al momento nel territorio nazionale.

La strada, quindi, resta quella di depositare una richiesta interpretando l’articolo 104 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale che prevede “nel caso in cui il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l’amministrazione” la nomina di un custode. Il Gruppo Riva, quindi, dovrà fare leva sull’obbligo disposto dalla legge di garantire la prosecuzione delle attività per ottenere lo sblocco dei 45 milioni di euro che rimarrebbe, tuttavia, nelle mani di Tagarelli e non dell’azienda. L’esito dell’incontro ha scatenato l’ira della Fiom che in caso di mancata approvazione del decreto prospettato nelle scorse ore ha annunciato “un’intensificazione della mobilitazione sindacale” che potrebbe sfociare anche in “una manifestazione nazionale da tenersi la settimana prossima a Roma, anche a sostegno di una rapida riattivazione del tavolo nazionale di settore”.

Intanto da Bruxelles è giunta la notizia dell’apertura di una infrazione in materia ambientale contro l’Italia. La Commissione europea, infatti, è pronta ad aprirla giovedì prossimo. “L’Ilva – ha spiegato all’Agi una fonte della stessa commissione Ue – ha violato i limiti di vari permessi ambientali concessi dalle autorità italiane e l’Italia non ha monitorato a sufficienza queste violazioni e non ha preso misure adeguate”. L’apertura della procedura contro l’Italia è inserita al momento nella lista dei provvedimenti sanzionatori che l’esecutivo Ue annuncerà la prossima settimana, ma restano ancora aperte le trattative per evitare l’avvio della procedura. L’Italia, infatti, avrebbe depositato una copiosa documentazione alla Commissione europea per rispondere ai quesiti posti da Bruxelles sulle possibili violazioni ambientali dell’Ilva.

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