Kyenge Aquaro SuqGenovaLa cultura è fondamentale. Alcuni anni fa nel corso di un’intervista Dacia Maraini disse che è mancata totalmente una cultura dell’immigrazione. Già siamo poco preparati sul tema dell’emigrazione: dovremmo ricordarci un po’ meglio qual è stata la portata di un fenomeno che ci ha toccati così da vicino, quando respingiamo persone che vengono a cercare una situazione migliore. La cultura è fondamentale perché quello che potrà fare Cécile Kyenge, affinché ci siano delle politiche e delle leggi migliori, non sarà abbastanza se non si cambia il costume, se non si cambia la mentalità, se non si lavora “porta a porta”. E quindi occorre portare avanti questo obiettivo: la cultura deve scendere dalle poltroncine comode, deve inventare luoghi.

Noi nel nostro piccolo/grande lo abbiamo fatto, abbiamo inventato un teatro nuovo, senza barriere, dove tutti si sentono rappresentati, dove si va l’uno verso l’altro perché intercultura (non multicultura) è “andare verso”, dialogare, essere alla pari, conoscersi.

La cultura è conoscenza. Le pratiche culturali e interculturali sono fondamentali perché non c’è soltanto il problema di integrare noi e le persone che arrivano nel nostro paese, ma anche di far convivere le diverse realtà e le persone diverse che arrivano. Questo non è da trascurare. Non è una partita che si gioca tra “noi” e “loro”… La cultura deve essere buona pratica, deve aiutare una coesione sociale basata su conoscenza, esperienza, relazione. Il cinema e il teatro stanno scoprendo il valore della “diversità”, ne danno rappresentazione con film e spettacoli, da ancora più tempo la musica con le sue contaminazioni, si pensi alla cultura musicale nata nel bacino mediterraneo.

La cultura deve accompagnare il lavoro del legislatore. A Genova c’è da tempo, anche in quanto città di porto, un’apertura verso altri mondi. Questo non significa che non serva lavorare sull’intercultura, ma spiega perché la città sia stata pronta a rispondere a iniziative inedite come il Festival Suq. La cultura può aiutare – e non lo fa ancora abbastanza – a far comprendere la forza e la bellezza delle identità di provenienza, le identità culturali.

Sviluppiamo troppo poco (la scuola fa quello che può con le poche risorse) una conoscenza internazionale vera, che dia ai bambini che arrivano da altre provenienze un senso di appartenenza a culture belle, importanti, con radici in paesi che magari attraversano momenti difficili, guerra, povertà, e che possono sembrare arretrate, ma forse da altri punti di vista sono migliori delle nostre, e comunque hanno una storia e un valore. La cosa che ci spinge ad andare avanti nonostante le difficoltà è vedere negli occhi dei bambini (marocchini, congolesi, senegalesi, ecuadoriani…) l’emozione e l’orgoglio quando vedono grandi artisti dai loro pesi esibirsi sul palco, e tutti noi che li applaudiamo. Ecco, questo è bellissimo: perché devono sentirsi importanti. Per crescere fiduciosi.

Carla Peirolero (dall’intervento al dibattito “Il valore dell’integrazione” con Cécile Kyenge, Livia Turco, Giovanni Manildo e Laura Berlinguer, svoltosi alla Festa Democratica Nazionale di Genova)

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