Sono molti gli analisti che riconoscono alla censura cinese anche un valore commerciale. Impedendo l’accesso oltre muraglia prima a Google e poi a Twitter e a Facebook i governanti dell’impero di mezzo non solo hanno limitato la diffusione di notizie che possono risultare problematiche per la “stabilità del paese”, ma hanno favorito anche le aziende nazionali di IT, come Baidu (il motore di ricerca gemello di Google) e Sina Weibo (il social network che racchiude in sé le caratteristiche dei nostri Facebook e Twitter).

Non la pensa così la gran parte degli internauti cinesi, che sono ormai più di mezzo miliardo e rappresentano una fetta di opinione pubblica consistente. In Cina oggi, paradossalmente, la notizia più commentata in rete riguarda l’Iran. Lo riportano anche i media di stato cinesi: “L’Iran ha sbloccato i social network Facebook e Twitter, che erano rimasti bloccati dal 2009, quando Ahmadinejad fu rieletto in una tornata elettorale che aveva scatenato una rivolta popolare”. In realtà, l’illusione è durata poche ore: dopo è arrivata la doccia fredda su chi credeva a una nuova apertura in senso democratico del nuovo presidente, il moderato Hassan Rohani. “L’assenza di un filtro a Facebook, registrata la notte scorsa, a quanto pare sembra sia stata dovuta a problemi tecnici che hanno permesso l’accesso”, ha affermato Abdolsamad Khoramabadi, funzionario statale incaricato di vigilare sulla censura e sui crimini informatici. E ha aggiunto che il governo “sta indagando” sull’accaduto “per verificare chi siano i responsabili”, riferendosi agli internet provider iraniani. Dichiarazioni che hanno spento sul nascere l’entusiasmo di chi pensava a una svolta del governo sull’accesso al web.

Nonostante la precisazione iraniana, però, la notizia ha fatto il giro del web a Pechino: “Perché Cina e Corea del Nord rimangono tra i pochissimi paesi del mondo a continuare a bloccare i due social network? Cosa sono Facebook e Twitter? Esistono veramente?” si domanda sarcastico un utente di Sina Weibo, il twitter cinese. Scrive un altro: “Gli iraniani possono tornare a Facebook, i cinesi invece ancora non sanno ancora cossa sia”. E ancora, giocando sullo slogan della nuova leadership che inneggia alla fiducia in se stessi: “è così che la Cina dimostra la propria fiducia?”.

E sì che nella stessa Cina sono i molti a evadere i blocchi della censura attraverso proxy e vpn, due sistemi che permettono di aggirare la sconfinata intranet cinese e risultare collegati da una città nel mondo che non subisce le restrizioni cinesi. Solo la settimana scorsa Sheryl Sandberg, a capo del settore operativo di Facebook, aveva incontrato Cai Mingzhao che sovraintende l’Ufficio per l’informazione del consiglio di stato per spiegare “il ruolo di Facebook nell’espansione delle aziende all’estero” lasciando presagire la possibilità di una nuova cooperazione.

Va detto poi che la Cina sta varando una politica sempre più restrittiva contro quella che chiama “diffusione dei rumor online”. È sempre della scorsa settimana l’introduzione del nuovo regolamento che prevede fino a tre anni di prigione per chi condividerà informazioni considerate false o contrarie all’interesse nazionale. Tra l’altro la Repubblica popolare non ammette nemmeno di operare censura. Quando a fine marzo Facebook fu sbloccato in Myanmar, i media di stato cinesi scrissero: “Ci sono solo quattro paesi al mondo che ancora bloccano il sito: la Corea del Nord, Cuba, l’Iran e ‘un altro paese’”. Ora a Cuba il problema non è con Facebook ma con l’intera rete internet il cui accesso è poco diffuso e molto caro. E apparentemente anche l’Iran ha abbassato la guardia senza fare troppi proclami. Quindi rimangono l’infida Corea del Nord e ‘un altro paese’ di cui al momento ricordiamo il nome ma che si dice sia lo stato più popoloso del mondo e la seconda economia mondiale.

di Cecilia Attanasio Ghezzi

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