“Rabbia, delusione e frustrazione” nei confronti del “mondo” e quindi anche verso i pubblici poteri che non gli avevano reso “giustizia”, sentimenti che avrebbero potuto portarlo anche a mettere in atto nuovi attentati: è quanto si legge nelle motivazioni, depositate oggi, della sentenza che condanna all’ergastolo Giovanni Vantaggiato, che ha confessato di aver compiuto l’attentato davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi nel quale, il 19 maggio 2012, morì la 16enne Melissa Bassi. Nell’attentato rimasero inoltre ferite altre 9 persone, tra studenti e passanti. E secondo i magistrati non è escluso che Vantaggiato abbia avuto complici e lo stesso ruolo della moglie resta “ambiguo”.

Secondo la ricostruzione dei giudici della Corte d’Assise Vantaggiato avrebbe posizionato i tre ordigni esplosivi e li avrebbe fatti esplodere alle 7.42 del mattino, mentre le studentesse si avvicinavano ai cancelli della scuola. E quando lo ha fatto Vantaggiato “era lucido, capace di intendere e volere”. Vantaggiato è stato ritenuto responsabile di strage con l’aggravante della finalità terroristica e stando alla sentenza di primo grado dovrà quindi espiare l’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi. Secondo la Corte avrebbe agito in quanto riteneva di non aver ottenuto giustizia “dai pubblici poteri, e dopo un processo ingiustificatamente lungo” per una sentenza su una presunta truffa subita. Si tratta della truffa da 340mila euro che avrebbe messo in atto Cosimo Parato, imprenditore agricolo di Torre Santa Susanna, vittima di un altro attentato il 24 febbraio del 2008, circostanza in cui riportò lesioni invalidanti. Anche di questo attentato è reo confesso Vantaggiato. “Si deve concludere – scrivono i giudici nella parte dedicata alla sussistenza dell’aggravante della finalità terroristica – che Vantaggiato a differenza di quanto dichiarato avesse intenzione di proseguire la strategia criminale di tipo terroristico iniziando con l’attentato alla scuola Morvillo Falcone collocando altri ordigni esplosivi micidiali al fine di colpire una o più vittime indeterminate scelte a caso in maniera indiscriminata e non prevedibile, con l’obiettivo altrettanto evidente di creare allarme nella gente destabilizzando i pubblici poteri”.

Non dunque obiettivi di vendetta personale o di ritorsione, come nel caso del tentato omicidio di Parato, ma una “strategia criminale diversa e perfettamente compatibile con quella considerata, anche tradizionalmente di tipo terroristico” scrivono i giudici. “Strategia – prosegue la corte d’assise di Brindisi – per quanto originata da rabbia personale non è diretta contro qualcuno in particolare ma contro l’intero sistema, la giustizia, i processi economici principalmente per reagire a una situazione di sofferenza ma anche per sollecitare i pubblici poteri a tutelare i truffati con modalità adeguate”. I giudici riportano alcune dichiarazioni di Vantaggiato rese dinanzi al gip: “Tutte ‘ste azioni di truffa dovrebbero avere una precedenza, perché queste sono cose che umiliano troppo le attività di chi lavorano, che subiscono queste cose qua. Le istituzioni dovrebbero dare più ascolto a queste azioni, il governo che legifera, deve dare la precedenza”.

E poi i possibili complici. “Con riferimento all’eventuale assistenza o aiuto fornito da complici – scrivono i magistrati di primo grado – mentre in sede dibattimentale l’imputato ha ripetutamente affermato di avere agito da solo, nel primo interrogatorio del pm, ha spesso utilizzato il plurale“. Quindi, “ritiene la corte che se è certo che Vantaggiato abbia agito da solo sia nella fase di collocazione dell’esplosivo che in quella di attivazione dell’innesco, non può escludersi in modo altrettanto certo che, alla luce delle iniziali affermazioni rese dello stesso agli inquirenti e di quanto detto con riferimento a Giuseppina Marchello, qualche complice sia intervenuto nelle fasi precedenti (reperimento contenitori, trasporto delle bombole)”. E il ruolo della stessa Marchello – la moglie di Vantaggiato – viene definito nella sentenza “quantomeno ambiguo”. La donna – a quanto ha più volte riferito la pubblica accusa durante il processo – non è mai stata indagata perché, visto il grado di parentela, non è possibile contestarle il reato di favoreggiamento personale.

 

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