I salotti buoni costano. E quello di Mediobanca, snodo del capitalismo di relazione italiano sul viale del tramonto, è particolarmente caro. Ma neppure la crisi impedisce a istituti come Unicredit di assicurare prontamente il supporto a Piazzetta Cuccia in vista del rinnovo, a fine settembre, del patto di sindacato che ha in mano il 42,03 per cento della banca d’affari milanese. Per fortuna, come ricordava pochi mesi fa l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, Piazzetta Cuccia non ha fatto alcun aumento di capitale dal 1998 e non ne ha tuttora bisogno. Anche perché sul fronte contabile, per i soci della banca d’affari non sono invece mancate le svalutazioni della partecipazione di lusso. E le cedole non sempre hanno compensato.

Negli ultimi quattro esercizi Unicredit, Fininvest , FonSai , Mediolanum, Pirelli e Italmobiliare per un posto al sole nel crocevia che fino a oggi ha fatto il bello e il cattivo tempo su buona parte del capitalismo all’italiana – dal Corriere della Sera a Telecom passando per Aeroporti di Roma – hanno complessivamente subito una perdita di oltre 800 milioni sul valore della partecipazione. La maggiore è in capo a Unicredit: il primo azionista della banca d’affari tra il 2008 e il 2012 ha effettuato svalutazioni per un controvalore complessivo di circa 520 milioni sul suo 8,6 per cento e ha ottenuto soltanto 29 milioni in dividendi. E ancora peggio andrebbe se la partecipazione dovesse essere venduta, visto che sul mercato vale altri 190 milioni in meno. Ma Unicredit non sembra avere al momento nessuna intenzione di uscire dal salotto. Svalutazioni a piene mani anche per la Fininvest dei Berlusconi che tanto avevano faticato per entrare nella stanza dei bottoni, riuscendoci soltanto nel 2007. A fronte di dividendi complessivi per 6,9 milioni, sempre in termini di svalutazioni sul proprio 2,06 per cento, Fininvest ha pagato un ticket da 108 milioni (nel 2008 la partecipazione valeva 286 milioni). In caso di dismissione sul mercato, poi, ne perderebbe un’altra novantina per adeguare la quota agli attuali corsi di Borsa. Anche se il Biscione, così come Unicredit, non sembra intenzionato a farsi da parte. Più contenuta in termini assoluti, la perdita registrata indirettamente nel periodo attraverso la partecipata Mediolanum – poco più di 40 milioni – che però a fine 2012 aveva in bilancio il 3,38% di Mediobanca a un valore unitario di 10,05 euro per un totale di quasi 300 milioni, il doppio della valutazione di Borsa. Sorti analoghe per la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e la Italmobiliare dei Pesenti, che tuttavia hanno già in pancia le quote a prezzi di mercato e volendo potrebbero uscire senza perdite sensibili. Tanto quanto la Unipol delle Coop che ha ereditato il 3,83 per cento dei Ligresti e si appresta a venderlo, su richiesta dell’Antitrust, dopo aver effettuato l’ultima svalutazione (46 milioni) a fine 2012.

Fin qui il passato. Ancora tutti da vedere, invece, gli effetti sugli azionisti dell’adeguamento a valori di mercato delle partecipazioni tentacolari diventate ingombranti, a partire da Rcs (Corriere della Sera) o Teleco m via Telco, per le quali la stessa Mediobanca ha già annunciato una maxi-svalutazione complessiva da 400 milioni che la prossima settimana porterà Piazzetta Cuccia ad approvare un bilancio in rosso per circa 200 milioni. Senza contare l’accollo dei circa 320 milioni di debito pro quota della traballante scatola che controlla Telecom da cui Nagel ha promesso di uscire. Salvo nuovi interessanti accordi con gli altri soci. Tra le svalutazioni è inclusa una minusvalenza da circa 45 milioni sul pacchetto Pirelli da aggiungere al conto Tronchetti Provera. Lo stesso, cioè, che nel 2007 era riuscito a vendere alle banche la sua quota in Telecom a 2,8 euro per azione, quasi 5 volte gli attuali corsi di mercato del gruppo che negli anni è costato a Mediobanca una perdita vicina a 570 milioni. Piazzetta Cuccia tra le quotate guadagna bene solo con Generali e Gemina, la holding che ha in mano quegli Aeroporti di Roma benedetti dal governo Monti con il rincaro delle tariffe di fine 2012. Sullo sfondo, poi, le partite pericolose ancora aperte. L’istituto presieduto da Renato Pagliaro sta cercando di liberarsi dalla tentazione del capitalismo di relazione all’italiana.

Ma oltre a fare i conti con svalutazioni e perdite, deve ancora regolare i conti con il passato da protagonista sulla scena finanziaria della Penisola. Come l’affaire Fondiaria- Sai, le cui nozze con Unipol non ancora celebrate, sono state orchestrate da Mediobanca, all’epoca dei fatti creditrice della compagnia dei Ligresti per circa 1,1 miliardi passati in pancia a Unipol. Nagel è indagato a Milano per ostacolo agli organi di vigilanza e la chiusura delle indagini è prevista a giorni. Aggiornamenti a breve sono attesi anche sulla delicata vicenda Parmalat su cui pure c’è il faro della magistratura (di Parma) che contesta l’indipendenza di Mediobanca come consulente della vendita di Lactalis American Group a Parmalat da parte di Lactalis, socio di riferimento di entrambe le aziende, ma anche debitore di peso di Piazzetta Cuccia. Retaggio di un recente passato, infine, anche il credito residuo da circa 95 milioni verso la Fondazione Carige garantito da un pacchetto di titoli della banca. Poca cosa, tutto sommato, anche se l’ente ligure, nel pieno dello scandalo che ha travolto la sua banca, in questo momento ha la sola priorità di cercare di far fronte al rafforzamento patrimoniale di Carige da almeno 800 milioni. 

di Mauro Del Corno e Gaia Scacciavillani

Da Il Fatto Quotidiano dell’11 settembre 2013

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