Khawlah non ne può più di ripetere che non ci sono donne da sposare.  Da quando è arrivata in Giordania, in fuga dalla guerra che sta devastando la Siria, non passa giorno senza che qualche vegliardo locale o straniero (dei paesi del Golfo, ma non mancano gli europei) si presenti da lei per chiedere la mano di sua figlia, 14 anni, o di qualche altra giovane rifugiata

Ad Aisha, in cerca di qualche lavoro per non dipendere dagli aiuti umanitari, hanno detto che d’impiego non ce n’è ma è piena di offerte di matrimonio. 

Amnesty International ha visitato il campo di Za’atri, ormai il più grande della Giordania, che attualmente ospita 130.000 rifugiati siriani. La vita quotidiana, già resa dolorosa dall’esilio, dalla perdita della casa e dei familiari, è piena di fastidi, minacce, ripetuti episodi di stalking.

La stampa giordana specula colpevolmente sulla precarietà della vita da rifugiata, parlando di “spose siriane a basso costo” se non direttamente di “prostitute siriane” disponibili nel campo di Za’atri, con articoli su “mercati dei matrimoni” o sulla naturale propensione delle siriane ai matrimoni precoci. 

In Giordania, la legge consente alle donne di sposarsi da minorenni, se un giudice islamico ritiene che ciò vada incontro al loro “migliore interesse”.  Di quale interesse si tratti, la legge non lo spiega e questo è uno dei motivi per cui le attiviste giordane per i diritti umani stanno svolgendo una campagna per abolirla.

Anche in Siria, la legge autorizza in determinati casi il matrimonio a 13 anni. Soprattutto nelle campagne, andare in spose in giovane età è un costume sociale diffuso, un fatto d’onore. Non è strano dunque che questa tradizione possa riscontrarsi anche nei campi rifugiati. Vivere, meglio sopravvivere all’estero, da rifugiati, in povertà rende le ragazze ancora più alla mercé dello sfruttamento e della violenza.

L’attenzione verso le ragazze siriane, la mancanza di sicurezza e di privacy a Za’atri hanno reso gli uomini del campo, soprattutto i mariti, ansiosi, iper-protettivi e persino violenti.  La libertà di movimento delle ragazze è fortemente limitata.

Quando sentono dire che a Za’atri si fa mercimonio dei matrimoni e che le loro figlie vanno in sposa a uomini stranieri, le madri siriane s’indignano. Già non sanno se e quando torneranno nel loro paese, già molte hanno perso figli e altri parenti… il pensiero di avere le figlie all’estero è semplicemente inimmaginabile.

I dati ufficiali danno loro ragione. La maggior parte dei matrimoni registrati di rifugiati siriani sono con altre persone di nazionalità siriane.  Molti altri matrimoni, tuttavia, non vengono registrati. 

Le organizzazioni umanitarie stanno facendo opera di persuasione tra le coppie in procinto di sposarsi: registrare il matrimonio è importante, anche per il futuro dei figli

Questo, però, non sempre è possibile, soprattutto per la mancanza di documenti.

E poi forse i problemi urgenti sono altri, come fa comprendere la domanda rivolta con amara ironia da Huda, 25 anni, arrivata da poco a Za’atri: “Beh? Se ci registriamo, che fanno? Ci danno un caravan al posto della tenda???”

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