A leggere i primi dati relazione annuale sull’attuazione della legge 194, sull’interruzione volontaria di gravidanza, relativi ai preliminari 2012 e definitivi del 2011, sembrerebbe che vada tutto per il meglio.

Va senza dubbio dato atto alla ministra Lorenzin che, dopo aver riferito in Parlamento prima dell’estate, si è immediatamente attivata e ha avviato, come avevamo richiesto, un monitoraggio capillare sul territorio relativamente all’obiezione di coscienza, che prende in considerazione ogni struttura fino al singolo consultorio. E è senza dubbio merito della legge 194 e in particolare dei suoi aspetti preventivi se, ancora una volta, viene confermato il trend degli anni precedenti, con una diminuzione delle interruzioni volontarie di gravidanza del 4.9% nel 2012 rispetto al dato definitivo del 2011 e un decremento del 54.9% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’Ivg.

Cifre che confermano che il numero degli aborti in Italia è fra i più bassi dei paesi occidentali, così come lo sono il ricorso all’aborto fra le minori, l’aborto ripetuto e quello tardivo, dopo i novanta giorni.

Eppure, non è vero che va tutto bene. L’uso della Ru486, la pillola che consente un aborto farmacologico e quindi non traumatico, ad esempio, è ancora limitato a poche strutture e inaccessibile a gran parte delle donne.

Non solo. L’aumento del numero degli obiettori di coscienza confermato dalla Relazione è un dato che ci preoccupa e che non può essere liquidato, come hanno fatto alcune colleghe del Pdl, affermando semplicemente che essendoci meno aborti i medici non obiettori sono perfettamente in grado di effettuarli tutti senza alcun sovraccarico di lavoro. Tanto è vero che giustamente la stessa ministra Lorenzin ha già detto che continuerà a monitorare “lavorando per verificare, insieme alle Regioni, la presenza di eventuali criticità locali per giungere al più presto al loro superamento”.

Perché le criticità ci sono e, quando si parla di statistiche, bisogna sempre pensare alla vecchia storia del pollo di Trilussa prima di cantar vittoria. Sappiamo ad esempio che in media 7 ginecologi e anestesisti su 10 sono obiettori di coscienza, che, con eccezione della Valle D’Aosta, per il resto siamo dappertutto oltre il 50% con punte estreme nel Sud e nelle Isole dove 3 operatori su 4 sono obiettori. (Guarda la mappa degli obiettori di coscienza nelle regioni italiane).

Qui non si tratta, come sostengono alcuni, di voler limitare la libertà di obiezione di coscienza, ma semplicemente di garantire a ogni donna le stesse possibilità di accedere alla legge. E preoccupa pensare che maggiori ostacoli si traducono inevitabilmente in aborti clandestini, dei quali sappiamo ben poco se non che vi fanno ricorso sempre più spesso le donne straniere, prive di permesso di soggiorno, che non possono rivolgersi alle strutture pubbliche.

Ma l’obiezione che allarma maggiormente è quella che riguarda la prevenzione e in particolare la pillola del giorno dopo che presa tempestivamente evita l’aborto.

La scorsa settimana ho citato in Aula il caso di una collega alla quale il medico di turno della Camera non ha prescritto la pillola perché obiettore, così come tutti gli altri medici in funzione a Montecitorio. Se una deputata non è riuscita a trovare applicazione piena della legge (tralasciando il fatto che nessuno ha ancora dimostrato che la pillola del giorno sia abortiva) nel Palazzo dove nascono le leggi, è facile immaginare le difficoltà delle donne, delle ragazze, a volte giovanissime, costrette a un lungo pellegrinaggio nei vari pronto soccorsi e ambulatori in cerca di un medico disponibile a fare una ricetta.

E’ su questo che dobbiamo vigilare, monitorare e approfondire, perché fino a quando si verificheranno questi casi non potremmo dire che va tutto bene.

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