La service tax è il miglior surrogato dell’Imu e della Tares sulla prima casa. Tuttavia, rispetto al modello a due tributi, la sola Taser non consente una precisa applicazione del principio del beneficio. Negativi anche gli effetti distributivi. Quali saranno gli oneri sulle seconde case. 
di Gilberto Muraro (Fonte: lavoce.info)

 

I difetti della Taser

Il disincanto è arrivato presto dopo l’euforia per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Non sono da trascurare due elementi collaterali. Il primo è l’incertezza paralizzante per il governo locale, che non sa cosa esattamente l’aspetti e quindi rinvia i pagamenti e taglia gli investimenti e le spese sociali. Il secondo è l’indebolimento internazionale dell’Italia, che con questa mossa va contro il resto del mondo e diminuisce così la probabilità di eventuali deroghe ai vincoli di bilancio e di debito pubblico (par di vederli, i tedeschi, a farci la lezione: perché mai concedervi sforamenti del Fiscal Compact se vi consentite il lusso di abolire un’imposta che noi tutti qui paghiamo?).

Ma restiamo qui sul fatto centrale: al posto dell’Imu, abbiamo ora la service tax o tassa sui servizi – Taser, appunto. Come surrogato, è il “meno peggio”. Salva infatti il coinvolgimento di tutti i cittadini al finanziamento del proprio municipio, condizione essenziale per un’autonomia locale responsabile. Ma sempre surrogato è, con risvolti negativi rispetto all’originale sia sul piano dell’equità tributaria sia rispetto al principio del beneficio che ovunque nel mondo ispira la finanza locale e chiama i beneficiari della spesa pubblica a finanziarla in proporzione a quanto ricevuto. 

La Taser non è ancora ben definita, ma si sa che riguarderà i residenti, proprietari o inquilini che siano, e che sarà divisa in due parti. La prima, chiamata Tari, finanzierà il servizio rifiuti e quindi sostituirà la Tares (uccisa in culla) senza l’attuale maggiorazione del 30 per cento per i servizi indivisibili. Si torna di fatto all’onere specifico sui rifiuti, o nella versione tributaria (ex Tarsu) o in quella tariffaria (ex Tia).

La seconda parte, chiamata Tasi, dovrebbe invece finanziare tutti i restanti servizi comunali ed essere ancorata, a scelta del comune, alla superficie o alla rendita catastale. Se basata sulla superficie, magari anche con un peso attribuito al numero dei conviventi, potrebbe stabilire un accettabile nesso tra contribuenti e la parte di spesa comunale che va a vantaggio delle persone. Ma la parte di spesa che si traduce nel mantenimento o innalzamento del valore degli immobili resterebbe senza un correlato finanziamento tributario. Gli elettori municipali, in prevalenza proprietari, tenderebbero quindi a premiare i programmi di spesa a favore delle case e non delle persone, che essi potrebbero in parte scaricare sugli inquilini. Simmetricamente, se basata sul valore desunto dalla rendita catastale, indurrebbe gli elettori-inquilini a votare per programmi di espansione delle spese per le persone.

Si tratta in ambedue i casi di distorsioni cui si potrà sopravvivere, tanto più se si considera che fino a oggi la distorsione pro-servizi alle persone e non alle case da parte dell’inquilino-elettore già si manifestava appieno con l’Imu sui proprietari. E tuttavia questo cenno alle teoria delle scelte collettive fa capire la superiorità dell’abolito modello tributario sulla prima casa basato su due strumenti – Imu e Tares – rispetto a quello della sola Taser. (1)

L’onere tra inquilini e proprietari

Guardando agli effetti sull’equità fiscale, di cui va tenuto conto anche in una finanza locale che dia più peso al principio del beneficio, si spera che per l’imponibile della componente Tasi sia preferito il valore. Sostituire l’Imu basata sul valore catastale con una Taser interamente basata sulla superficie significherebbe ignorare ogni differenza di pregio e fare un regalo ai ricchi a spese dei poveri (e non rilevano qui i 76mila casi di abitazioni di lusso che continueranno a pagare l’Imu rispetto agli oltre 20 milioni di residenze proprie).(2) 

L’equità subirà comunque una ferita con il passaggio dell’onere dell’intera Taser, quindi anche della componente Tasi, dai proprietari agli inquilini nelle abitazioni locate, considerando che in media i secondi sono meno agiati dei primi. Nel lungo periodo, attraverso il rinnovo dei contratti di affitto, il mercato distribuirà l’onere sostanziale tra le due parti, in base alle leggi della domanda e dell’offerta, chiunque sia il contribuente formale. Ma per vari anni gli inquilini rischiano di avere danno e beffa. Ciò perché i canoni attuali, liberamente contrattati in regime di Ici o Imu, già risentono della traslazione della vecchia imposta sui proprietari operata dal mercato. (3) 

Ma questo non impedirà che, in forza di legge, gli inquilini siano chiamati a pagare interamente la nuova Taser, da cui sono invece esenti i locatori.

La sorte delle seconde case

E per i sei milioni di seconde case? La situazione potrebbe restare inalterata, perché l’Imu c’è e rimane e la Taser potrebbe essere resa equivalente all’attuale onere sui rifiuti. Ma è più probabile che si accentui l’onere complessivo, dato che premono le necessità della finanza pubblica, che ormai la seconda casa c’è e non può svanire e soprattutto che il suo proprietario, non essendo elettore in quel comune, è il perfetto agnello sacrificale. Si raccomanda tuttavia di non cedere troppo a questa tentazione: oltre che iniquo a fronte di un fenomeno che va oltre la classe veramente agiata, sarebbe miope, perché scoraggerebbe investimenti futuri. In effetti, già ora si nota una forte deviazione degli acquisti di seconde case dall’Italia all’estero. Insomma, come insegnava Milton Friedman, non esiste un pasto gratis per tutti, qualcuno lo deve ben pagare. Con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, che riguarda oltre l’80 per cento degli italiani, ci hanno fatto credere alla possibilità di un regalo per tutti. Ora cominciamo a renderci conto che in qualche modo dobbiamo pagarlo.

 

(1) Il modello a due imposte, una sui proprietari in quanto tali e l’altra sui residenti, era stata proposta dallo scrivente nel Libro Bianco sulla riforma tributaria del 1994. (2) Il dossier del Mef sull’Imu, Ipotesi di revisione del prelievo sugli immobili, 7 agosto 2013, fa propria la classica tesi di una maggiore concentrazione dei patrimoni rispetto al reddito e quindi di una crescita progressiva rispetto al reddito dell’Imu in quanto imposta proporzionale sul patrimonio ( p. 16). La tesi è in effetti supportata, anche per la componente specifica della prima abitazione, da uno studio precedente del Mef, secondo cui “l’indice di concentrazione risulta pari a 0,3921 per il reddito, a 0,4960 per la ricchezza immobiliare totale e a 0,5018 per le abitazioni principali (audizione alla Camera dei deputati del Dg delle Finanze Fabrizia Lapecorella, 18.9.2012). Si aggiunga che la detrazione fissa dall’Imu dovrebbe accentuarne la naturale progressività. Meraviglia quindi che di tale andamento non si vedano riflessi chiari nei dati della tab. a pag. 13 (Imu media per classi di reddito complessivo dei proprietari) e del grafico a pag. 14 (Imu media per reddito medio comunale). Nel grafico, peraltro, l’interpolante lineare sembra indicare  una leggerissima progressività, contrariamente alla relazione meno che proporzionale dichiarata nel commento. Con tale dossier il Mef ha offerto un supporto esemplare a un consapevole dibattito politico. Supporto purtroppo inutile, visto che la scelta è nata da diktat politici, impermeabili a ogni analisi  tecnica. Resta comunque un prezioso contributo alla ricerca, da recepire con gratitudine. In questo spirito si auspica che il Mef voglia approfondire il punto qui segnalato. (3) L’ipotesi di non traslazione in avanti, neppure parziale, richiederebbe un’offerta infinitamente rigida o una domanda infinitamente elastica. Pur non conoscendo studi empirici sull’argomento, si considera probabile l’ipotesi di traslazione parziale dell’imposta sul canone.

Bio dell’autore

Gilberto Muraro, Professore Ordinario di Scienza delle Finanze, Facoltà di Giurisprudenza

Note Biografiche: Nato 1939, Laurea in Economia e Commercio, Università Ca’ Foscari di Venezia, MSc in Economics University of York ( UK), ricerche a Cambridge e a Berkeley .E’ presidente del Nucleo di Valutazione nelle Università di Bologna e di Macerata e socio di varie Accademie ( Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; Accademia Galileiana; Accademia Olimpica e Accademia dei Concordi). E’ stato: Rettore dell’Università di Padova; presidente dell’Associazione Italiana di Economia Sanitaria e della Società Italiana di Economia Pubblica; vicepresidente del Consiglio superiore di sanità; presidente del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche; presidente della Commissione tecnica per la finanza pubblica, direttore del Criep( centro di ricerca interuniversitario sull’economia pubblica); direttore della rivista “Politiche sanitarie”.

Articolo Precedente

Monte dei Paschi di Siena, la spartizione “culla” delle larghe intese Pd-Pdl

next
Articolo Successivo

Impregilo, Salini “regala” a Pompei il 5,6% degli indennizzi per Acerra

next