Ho letto un commento di un mio amico ieri pomeriggio che iniziava così: “Non di rado, nella vita di ciascuno di noi, accadono episodi o eventi – in apparenza neutri o “laterali” – che in qualche modo orientano il corso successivo delle cose, ne suggeriscono la direzione, ne condizionano lo sviluppo.” 
Questi eventi, a volte, possono essere anche l’incontro con una persona particolare che entra nella tua vita per caso o, per chi ci crede, grazie al destino o al karma. 
Questa sera ho rivisto, dopo 19 anni, una di quelle (poche) persone che hanno indirizzato la mia vita e la persona che sono diventata: la mia maestra di italiano delle elementari, Marina.

Ricordo come fosse ieri un episodio avvenuto più di venti anni fa, ne ricordo i visi, i suoni, i colori, le parole, le emozioni, perfino le disposizioni spaziali della classe e di noi bambini. Era un pomeriggio ed il cielo fuori era nuvoloso, con aria di pioggia imminente. La maestra Marina faceva su e giù nervosamente per la classe, in silenzio, ogni tanto ci guardava per un secondo, come se stesse cercando le parole più giuste per iniziare un discorso che, si capiva, sarebbe stato difficile. Poco prima era accaduto qualcosa di grave nel cortile della scuola, durante la ricreazione; un nostro compagno di classe disabile, con un ritardo cognitivo, era stato oggetto di derisione da parte di alcuni ragazzini, compreso qualcuno della nostra classe. Uno dei miei migliori amici di allora, Giorgio, era accorso in sua difesa ed era nato un bisticcio tra lui e gli altri, comprensivo anche di qualche spintone. 

Marina ad un certo punto si fermò in mezzo alla classe, si mise le mani sui fianchi e, con la testa abbassata, iniziò: “Non so se vi siete resi conto della gravità di quello che è successo oggi.” Poi ci spiegò come deridere una persona a causa di una sua difficoltà fosse un comportamento da vigliacchi, che umiliare un compagno (ci spiegò anche il significato preciso del verbo “umiliare”) non serviva ad altro che a farci sentire più “potenti” facendo soffrire un’altra persona. Mentre ci parlava la voce le si spezzò più di una volta e non riuscì – anche se ci provava – a trattenere qualche lacrima. E poi, parola più parola meno, concluse così: “Ma c’è un’altra cosa che forse è ancora più importante: anche che non sarete voi ad umiliare quella persona, se rimarrete a guardare mentre qualcun altro lo fa, senza dire una parola, perché avete paura di essere presi in giro anche voi, perché siete soli contro tutti, qualsiasi sia la ragione, allora sarete responsabili anche voi della brutta cosa che sta succedendo.”
Poi si diresse verso Giorgio, gli mise una mano sulla spalla e gli disse che era stato molto coraggioso e che aveva compiuto un gesto buono, e lo ringraziò.

Le sue parole e l’emozione dietro di esse mi colpirono nel profondo. Mi sentii in colpa e allo stesso tempo sollevata, perchè avevo capito l’errore ma anche come fare per non ripeterlo. Ricordo perfettamente che quel giorno promisi a me stessa che non sarei mai più stata co-responsabile di “brutte cose”.

Stasera ascoltavo parlare Marina in pizzeria ed ho pensato che, alla fine, i John Keating non sono solo personaggi di un meraviglioso film. Esistono davvero.

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