L’ennesimo ricatto occupazionale dei Riva è giunto a circa 48 ore dall’ultimo maxisequestro disposto dalla magistratura di Taranto. Il gruppo lombardo ha infatti annunciato di mettere in libertà circa 1.500 operai impiegati nelle 13 società sequestrate dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta Ambiente svenduto, che ha indagato i vertici della famiglia Riva per disastro ambientale. Sigilli sono stati apposti a beni mobili, immobili e conti correnti per 916 milioni di euro. Un nuovo colpo a cui il Gruppo Riva ha risposto con una modalità non nuova: il licenziamento degli operai. Una musica che si ripete: mentre la magistratura porta alla luce i danni creati dalle emissioni nocive della fabbrica, il Governo si impegna a sfornare decreti per salvare l’azienda e i vertici della società minacciano di licenziare operai.

Paventare la chiusura è stata l’arma già utilizzata nei documenti per ottenere i dissequestri nei mesi successivi ai provvedimenti di pm e gip. Minacce a cui la magistratura non si è piegata, ma dinanzi alle quali i governi Monti e Letta sono intervenuti con decreti ad aziendam. Eppure, secondo fonti vicine all’azienda il sequestro sarebbe stata solo l’occasione per gettare la spugna. Il Gruppo Riva, infatti, pur avendo annunciato di voler impugnare “nelle sedi competenti il provvedimento di sequestro, già attuato nei confronti della controllante Riva Forni Elettrici e inopinatamente esteso al patrimonio dell’azienda” ha immediatamente giocato la carta che in altre occasioni si è rivelata vincente. Usando lo spettro della catastrofe occupazionale (12mila dipedenti) e dell’interesse nazionale (circa l’1% del Pil italiano), i governi hanno varato prima il decreto “salva Ilva”, concedendo alla fabbrica 36 mesi si impunità e di libero inquinamento in attesa di mettersi a norma; poi è stata la volta del decreto “salva Ilva bis”, con la nomina del commissario straordinario Enrico Bondi (fino a quel momento amministratore delegato dell’azienda); infine è toccato a un decreto per autorizzare due discariche interne, consentendo all’azienda di risparmiare milioni di euro nello smaltimento dei rifiuti.

Non si può quindi escludere che, ora, l’obiettivo sia quello di un nuovo provvedimento che possa scudare anche le aziende che orbitano della galassia del Gruppo Riva. Un’altra legge ad hoc, insoma, per salvare la cassaforte di famiglia. Non solo. Da quando gli operai di Taranto hanno smesso di farsi pilotare da capi e capetti, le gli annunci e le misure annunciate dall’azienda hanno sempre coinvolto stabilimenti e impianti al di fuori del capoluogo ionico. E anche in questa occasione hanno annunciato che “cesseranno tutte le attività dell’azienda, tra cui quelle produttive degli stabilimenti di Verona, Caronno Pertusella (Varese), Lesegno (Cuneo), Malegno, Sellero, Cerveno (Brescia) e Annone Brianza (Lecco) e di servizi e trasporti (Riva Energia e Muzzana Trasporti)”.

Il motivo? Secondo l’azienda, l’ingiustizia del provvedimento consiste nel ricatto che ”tali attività non rientrano nel perimetro gestionale dell’Ilva e non hanno quindi alcun legame con le vicende giudiziarie che hanno interessato lo stabilimento Ilva di Taranto”. La decisione, comunicata all’amministratore giudiziario Mario Tagarelli (che tuttavia non è ancora entrato in possesso dei beni sequestrati), “si è resa purtroppo necessaria – spiega una nota del Gruppo industriale – poiché il provvedimento di sequestro preventivo penale del gip di Taranto, datato 22 maggio e 17 luglio 2013 e comunicato il 9 settembre, in base al quale vengono sottratti a Riva Acciaio i cespiti aziendali, tra cui gli stabilimenti produttivi, e vengono sequestrati i saldi attivi di conto corrente e si attua di conseguenza il blocco delle attività bancarie, impedendo il normale ciclo di pagamenti aziendali, fa sì che non esistano più le condizioni operative ed economiche per la prosecuzione della normale attività”. I sindacati, ancora una volta, cercano di tenere il piede in due scarpe. La Fim Cisl, ad esempio, da una parte scaglia contro l’azienda una diffida per scongiurare i licenziamenti, dall’altra chiede alla procura che il provvedimento sia configurato in modo tale da garantire la continuità produttiva. Come dire: “Applicate la legge, ma non troppo”.

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