Italiani mammoni, sì. Ma anche le giovani generazioni britanniche iniziano a mostrare segnali di un nuovo fenomeno che da sud sembra salire sempre più a nord. Ha destato scalpore, nel Regno Unito, la ricerca effettuata dalla società di sondaggi ComRes che ha mostrato come, nel Paese dove solitamente a 18 anni si lascia il nido domestico, circa un genitore su tre (il 29%) sia ancora costretto a ospitare uno o più figli adulti in casa. Per adulto, secondo l’indagine, si intende un uomo o una donna fino ai 40 anni di età. Un cittadino o una cittadina non pienamente in grado di svolgere, in indipendenza, la propria vita sociale, soprattutto – sembra suggerire la ricerca – a causa degli alti costi delle abitazioni, sia in vendita che in affitto.

Effettuato per la National Housing Federation, una sorta di sindacato delle associazioni e delle società che si occupano di edilizia sociale e di programmi abitativi sostenibili, lo studio, su un campione di 1.100 intervistati, ha infatti rivelato come per l’80% dei genitori il proprio figlio o la propria figlia non si siano ancora mossi da casa “perché non si possono permettere di andare a vivere da soli”. 

Mammoni per necessità, verrebbe quindi da dire, in un fenomeno che sempre più interessa soprattutto le aree più povere del Regno Unito, a nord e a nord-est, e che al di qua della Manica inizia a essere identificata come una “sindrome del nido” forzata. Secondo le stime della National Housing Federation, da qui al 2020 il costo delle case in vendita aumenterà di almeno il 46%, mentre il prezzo degli affitti crescerà anche del 54% rispetto ai valori odierni. Claire Astbury, dell’associazione, ha spiegato: “Lasciare la propria casa e andare a vivere da soli per costruirsi una famiglia è un rito di passaggio sempre più per pochi. Stiamo ritardando a queste persone una piena vita adulta, costringendole a vivere nelle loro camerette dove hanno speso la loro infanzia. Una situazione terribile anche per madri e padri, che spesso si sentono in trappola”. 

La soluzione, secondo la National Housing Federation, sarebbe semplice: “Costruire più case a prezzi ragionevoli” e nove intervistati su dieci hanno infatti confermato la necessità di più edilizia sociale e di più programmi abitativi a livello locale. La notizia arriva anche nei giorni in cui viene confermata la ripresa dell’economia britannica e la conseguente rinascita del mercato immobiliare. Ha fatto notizia a Londra, la settimana scorsa, la vendita dell’ultima casa in zona centrale valutata al di sotto delle 100mila sterline. Un bilocale praticamente fatiscente, che la stampa locale della capitale ha mostrato con un misto di orgoglio e ribrezzo, scrivendo che “neanche nei romanzi di Dickens ci si trovava in queste situazioni”. Così, mentre cresce a dismisura il numero delle abitazioni dal costo superiore al milione di sterline, mentre un trilocale di lusso a due passi dal Big Ben è in vendita a 6 milioni di sterline e mentre, ancora, il costo medio di un’abitazione londinese supera le 300mila sterline, un’altra notizia ha destato scalpore: oggi, per comprare una casa nel sud dell’Inghilterra, l’area più ricca del Paese, occorre avere in banca almeno 74mila sterline. A tanto ammonta il “deposit”, la caparra media chiesta da agenzie e banche per poter bloccare una transazione immobiliare. Tutti soldi che non vengono finanziati dai mutui e che mammoni e mammone del Regno Unito paiono non avere più.

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