Una “vittoria storica”. Così la candidata premier del Partito conservatore in Norvegia, Erna Solberg soprannominata ‘Erna di ferro’, ha definito il trionfo del centrodestra nelle elezioni legislative di ieri, le prime dopo il massacro di Oslo e Utoya compiuto da Anders Behring Breivik il 22 luglio del 2011, in cui morirono 77 persone. Solberg sarà la seconda primo ministro donna del Paese dopo Gro Harlem Brundtland. Il premier uscente laburista, Jens Stoltenberg, ha ammesso subito la sconfitta, aprendo dunque la strada alla formazione di un nuovo esecutivo a guida conservatrice. “Gli elettori avevano la possibilità di scegliere fra 12 anni di governo rosso-verde e un nuovo governo con nuove idee e nuove soluzioni”, ha detto Solberg nel discorso di ringraziamento ai sostenitori. Nel Paese i laburisti erano al potere dal 2005.

Secondo i risultati preliminari, il Partito conservatore ha ottenuto il 26,8% dei voti, il suo miglior risultato da 28 anni. Il partito che singolarmente ha ottenuto più consensi è però quello laburista, che ha raccolto da solo il 30,8% dei voti. Tuttavia insieme ai due partiti della coalizione di centrosinistra, cioè quello socialista e quello di centro, il blocco ha raccolto solo il 40,4%, in calo rispetto alle ultime elezioni. I conservatori avranno bisogno del sostegno di tutti e tre gli altri partiti di centrodestra per ottenere un governo di maggioranza: si tratta del Partito del progresso (nel quale  inizialmente militò lo stesso Breivik), con posizioni xenofobe e populiste, del Partito liberale e dei Cristiano democratici. Non è tuttavia scontato che liberali e cristiano democratici diano il proprio consenso a governare insieme al Partito del progresso e nell’eventualità di un loro no si potrebbe formare un governo di minoranza del Partito conservatore con il Partito del progresso e l’appoggio degli altri due

Questa piccola ma ricchissima monarchia costituzionale ai confini dell’impero dell’Unione europea, si è divincolata in un batter d’occhio dalla tutela che per otto anni Stoltenberg aveva esercitato con l’appoggio del Partito socialista di sinistra e dei centristi e ha consegnato il Paese a un governo che, con ogni probabilità, vedrà l’attiva partecipazione di quello che in passato fu proprio il partito dell’estremista stragista di destra Anders Breivik, il Partito del progresso, populista e anti immigrazione.

Il computo esatto dei seggi dirà quale peso avranno partiti e coalizioni nel nuovo parlamento (Stortinget) ma da subito appare chiaro che i circa quattro milioni i elettori non sono riusciti a perdonare al governo Stoltenberg la mancata risoluzione di alcuni dei problemi che sono considerati prioritari per il Paese: sanità, immigrazione, pensioni, istruzione, regime fiscale. In breve, lo stato sociale, che nell’immaginario europeo si considera pienamente dispiegato proprio in Paesi come la Norvegia, è stato invece percepito come non risolto, soprattutto se confrontato alle immense ricchezze petrolifere che vi sarebbero dovute essere investite.

La domanda ricorrente di ogni norvegese negli ultimi anni è stata infatti: “E dopo il petrolio?”. Anche se non passa giorno senza che lo Stato annunci nuove scoperte di giacimenti, o non si infiammi il dibattito sulla necessità di nuove prospezioni e perforazioni, magari in paradisi naturalistici come le isole Lofoten. Questo Paese così vicino all’Artico e così lontano dall’Europa avendo scelto di non entrare nella Ue né tantomeno di adottare l’euro, è percepito dai suoi abitanti come troppo legato al petrolio, anche in considerazione del fatto che possiede il primo fondo sovrano al mondo legato al settore energetico con oltre 750 miliardi di euro in azioni estere, immobiliare e bond.

Alla vigilia del voto i commentatori dei giornali norvegesi hanno tutti messo in evidenza che la vittoria della destra non va ricercata negli errori di Stoltenberg, ma nella voglia di cambiamento dell’elettorato, in una sorta di “noia collettiva”, inconsapevole della prosperità in cui vive la Norvegia, senza debito pubblico, con tassi di crescita (2,5% nel 2013), di disoccupazione (meno del 3,3%) e di inflazione (all’1%) impensabili nell’area euro. Le prospettive economiche hanno subito qualche lieve flessione, anche per chi si trova alla periferia della crisi, e l’immigrazione ha conosciuto incrementi significativi (solo l’anno scorso 70mila ingressi in più di cui 25 mila non europei). Ma per l’entourage di Stoltenberg, questi dati non avrebbero dovuto pesare così sull’elettorato.

La vicenda delle stragi di Oslo e Utoya poi, pur avendo infranto il sogno di intangibilità del Paese, non sembrano avere influito più di tanto sul voto; una trentina di sopravvissuti alla furia di Breivik si sono candidati ma, stando alle previsioni, non dovrebbero farcela in più di tre. Chiuso il ciclo progressista, lo scenario più probabile è, secondo i commentatori, quello di un governo di minoranza di Conservatori e Partito del progresso con l’appoggio esterno dei due partiti minori. Nel quale proprio i populisti di destra della signora Siv Jensen potrebbero dettare agenda e provvedimenti, dopo che a Stoltenberg – che chiedeva altri quattro anni di fiducia – il Paese ha voltato le spalle.

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