Non sono solito tornare su un tema già trattato in un post precedente ma ammetto che la dichiarazione di Papa Francesco in merito alla Siria mi ha quanto meno colpito, per non dire scioccato.

Non credo sia un segreto per nessuno che da quando esiste la guerra esiste il commercio delle armi. La guerra: piccola, grande, civile, l’intervento di pace etc… costa. Armamenti pesanti (dai carri armanti agli elicotteri) e armi leggere, di norma le più facili da acquistare e vendere. Per le armi pesanti buona norma che le singole aziende le vendano ai governi regolari. D’altro canto è difficile occultare sotto un po’ di paglia un carro armato o un lanciatore di missili per un elicottero (per quanto la regolamentazione internazionale in tal senso lascia qui e la alcune aree grigie). Le armi leggere hanno grandi vantaggi: sono denaro liquido, rivendibili in ogni situazione. Comprare armi dove vi è abbondanza e rivenderle dove sono necessarie è un classico.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica il mercante d’armi Viktor Bout divenne incredibilmente ricco comprando nei ex magazzini ucraini a costi irrisori e rivenderle in nazioni dove vi era grande domanda come la Liberia. Sono resistenti: i fucili M40 venduti dagli Stati Uniti al governo libico prima del colpo di stato di Gheddafi nel 1969 si sono dimostrati armi altamente efficaci nella battaglia di Misurata e, finito il loro “servizio” in Libia, sembra che siano apparse nelle mani dei ribelli siriani. Sono intercambiabili: un AK-47 prodotto in Russia è sostanzialmente identico ad uno prodotto in Pakistan o Egitto.

Vi sono 3 tipi di mercato delle armi. Quello legale dove le armi sono vendute e comprate in accordo alle leggi internazionali ci sono documenti da compilare e certificati che attestano chi sarà l’utilizzatore finale. Un esempio è la fornitura di armi chimiche da parte del governo inglese al governo siriano. In tal senso non è difficile comprendere come il governo americano possa esigere e sia sicuro della presenza di armamenti chimici negli arsenali governativi, essendo stato il britannico alleato storico americano a venderle.

Esiste il mercato ibrido o grigio. Dove le armi vengon vendute legalmente ma poi scivolano in mercati il cui utilizzatore finale non sempre corrisponde a quello dichiarato. Ne è esempio le armi vendute ufficialmente dall’Ucraina alla costa d’Avorio ma poi finite, in violazione dell’embargo delle Nazioni Unite in Liberia e Sierra Leone.

Esiste poi il mercato illegale dove non vi sono controlli di alcuna sorta. Le nazioni spesso utilizzano gli ultimi due tipo di mercati per rifornire alleati in conflitti complessi politicamente. Un esempio storico fu lo scandalo Iran-Contra nel 1980. In vero spesso l’attività principale nel mercato nero è sviluppata da attori economici indipendenti.

In Siria esistono tutti e 3 i mercati. Il presidente Siriano ha ricevuto legalmente armi dalla Russia. Eguale supporto è giunto dall’Iran, tuttavia secondo la risoluzione Onu del 1747 la repubblica persiana non è autorizzata a vendere armi. Una situazione egualmente complessa appare quella in cui sistemi missilistici anti nave cinesi, come i c-802 sono finiti in mano agli Hezbollah, i quali hanno utilizzato tali armi avanzate per colpire, nel 2006, la corvetta israeliana Hanit.

Una delle ragioni d’essere della presenza Usa a Benghazi, Libia, sembra esser stata di facilitare il flusso di armi verso la Siria. Il punto di vista americano era comprensibile. Ogni lanciarazzi da spalla SA7b finito in mano ai ribelli siriani era un arma in meno che, dopo la caduta del governo libico, poteva scivolare nelle mani di gruppi locali o mercanti d’armi.

La questione posta dal Papa durante l’Angelus, che cito testualmente “Questa guerra di là, questa di là, perché dappertutto ci sono guerre, è davvero una guerra per problemi o è una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale?”, è lecita e lascia tuttavia aperta una domanda di maggior respiro. Dato il breve scenario descritto del commercio (legale o illegale) di armi, potrebbe esser interessante domandarsi se, differentemente da come ho parlato nel precedente post, in Siria vi sia qualcosa per cui valga la pena combattere (bene inteso oltre alla democrazia): il guadagno derivato dalla vendita di armi, di munizioni e tutto l’apparato di logistica, formazione e addestramento che l’utilizzo di differenti armament leggeri e pesanti, necessariamente implica.

Dopotutto le guerre costano e qualcuno deve pagare.

Twitter @EnricoVerga

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