Con Sacro GRA di Gianfranco Rosi il Leone d’oro torna italiano e sconvolge molti pronostici fatti alla vigilia. E lo fa dentro a un genere come il documentario che spacca tradizioni e cliché. Il massimo premio mancava all’Italia dal 1998 con Così ridevano di Gianni Amelio, quest’anno ancora concorrente al Lido ma rimasto a bocca asciutta.

“Forse inizierò ad amare Roma attraverso il Raccordo anulare”, ha scherzato il neo vincitore, italiano d’Asmara con doppia cittadinanza italo-americana, riscoperto a Venezia nelle edizioni a firma Marco Muller che lo aveva voluto ad Orizzonti con i suoi importanti lavori prodotti in assoluta indipendenza fuori dall’Italia, Below sea level e El sicario: “Voglio dedicare il premio ai miei incredibili personaggi che mi hanno lasciato entrare nelle loro vite con generosità immensa: mai mi sarei aspettato un premio così importante per un documentario. Per me era già importante essere in concorso”.

“Ringrazio intanto mia moglie che mi ha convinto a rimanere a Roma, visto che me ne volevo andare, e ad accettare il progetto Sacro Gra – ha continuato – Poi ringrazio il direttore del Festival, Alberto Barbera, che ha avuto fiducia in me, e il maestro Bertolucci, ovviamente”. Bernardo Bertolucci che, in camicia rosa forse per dare “indizi” cromatici, aveva programmaticamente annunciato che il suo Leone d’oro avrebbe dovuto sconvolgerlo, lasciando un segno profondo. “Volevo essere sorpreso e il film di Gianfranco Rosi è un film sorprendente. È riuscito seguendo il suo talento come one-man-orchestra a farci affezionare e scoprire dei personaggi. Il tutto con un grandissimo stile. Questo film ha qualcosa di francescano per la sua qualità di purezza. Il Leone d’oro è stato dato con molto entusiasmo, non ricordo se immediatamente alla prima votazione ha avuto l’unanimità ma mi sembra che nessuno abbia detto di no”.

Nessuno sa se il documentario di Rosi diventerà un cult, di certo questo autore appassionato che il cinema italiano aveva inspiegabilmente relegato nel dimenticatoio è una figura fuori dal bel mondo, che per 3 anni ha sostato in camper lungo il Gra per rilevarne umanità, emozioni, visioni di mondo.

Il film ha convinto i nove giurati che hanno poi attribuito il loro nuovissimo Gran Premio (riconoscimento che fa appaiare Venezia a Cannes con il suo Gran Prix) all’immenso Stray Dogs del maestro taiwanese Tsai Ming Liang, forse il vero Leone d’oro del 2013, anche per aver dichiarato che quello presentato al Lido è il suo ultimo film. Dopo aver presentato un’opera estrema e di potenza inaudita, Tsai ha mostrato grande rispetto per gli spettatori salendo sul palco della sala Grande: “Il mio film era difficile da premiare perché è lentissimo. Ringrazio quindi la giuria che si è fermata a guardare il mio film, e ringrazio il pubblico di Venezia che ha rallentato i propri passi per vedere il mio film”.

Insomma, un riconoscimento da maestro-a-maestro, cui hanno fatto seguito due premi a registi più giovani. Parliamo del Leone d’Argento per la migliore regia a Miss Violence del 36enne greco Alexandros Avranas e del premio speciale della giuria a La moglie del poliziotto del tedesco Philip Gröning. Due film accomunati dalla violenza estrema all’interno del focolare domestico, due esempi di cine-denuncia assai diversi tra loro in ogni senso: uno breve e sottraente, l’altro lungo a tratti estenuante ma affascinante e con una curiosa divisione in 60 capitoli da cui si entrava ed usciva ogni volta con rigorose didascalie. “Spero di contribuire con questo premio a fare in modo che il problema della violenza domestica sia reso più visibile”, ha commentato Groening, già autore del documentario Il grande silenzio.

Anche la Coppa Volpi maschile parla greco, essendo andata all’attore Themis Panou superbo protagonista di Miss Violence; mentre è italianissima – e unanime – quella per la migliore interpretazione femminile Elena Cotta, attrice “di occhi” di 82 anni ma con una grinta da evergreen, non a caso premiata da Bertolucci. La dedica è stata per il marito Carlo con cui ha appena celebrato le nozze di diamante qualche mese fa: “Senza di lui io non sarei qui e sarebbe proprio un peccato”.

Al veterano Stephen Frears va il premio per la sceneggiatura di Philomena, caratterizzato da una straordinaria Judi Dench: trascurata dalla Coppa Volpi a favore di Elena Cotta ma che siamo certi non sarà dimenticata ai prossimi Oscar. A secco, o quasi, la grossa truppa dei film di produzione statunitense. L’unico riconoscimento va infatti al giovanissimo Tye Sheridan che in Joe di David Gordon Green interpreta il ragazzo che il protagonista Joe/Nicholas Cage prenderà sotto la sua tutela per insegnargli a sopravvivere nella difficile vita di un lontano e violento paese del Sud degli Usa.

Non sarà di certo trascurato di attenzione il film vincitore come opera prima, premio “Luigi De Laurentiis”: il potente White Shadow di Noaz Deshe inserito nella sezione della Settimana Internazionale della Critica. Storia basata sul dramma della minoranza albina in Tanzania. Carlo Verdone ha consegnato il premio ad un emozionato Deshe, presentandosi su un palco con l’assegno  di 100mila euro previsto dal premio, da dividere tra produttore e regista: “Mi sembra di essere il signor Bonaventura (celebre personaggio del Corriere dei Piccoli, ndr)”, ha ironizzato l’attore romano tra i più richiesti durante il red carpet della serata.

Infine, la Mostra del Cinema di Venezia 2013 è stata foriera di un’ulteriore premio per l’Italia. Nella sezione Orizzonti, il presidente della giuria, Paul Schrader, ha assegnato il premio per la miglior regia a Uberto Pasolini per Still Life, storia tragica di un uomo incaricato di provvedere alla sepoltura delle persone i cui parenti sono introvabili. 

di Anna Maria Pasetti e Davide Turrini

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