“Questo decreto legge non sta in piedi perché identifica le donne come soggetti deboli, non stanzia un euro per la formazione e la protezione, e affronta la violenza di genere solo da un punto di vista penale, emergenziale e di pubblica sicurezza, quando invece è un fenomeno culturale, politico e strutturale”. Così le associazioni che hanno aderito alla Convenzione nazionale No more e alla piattaforma Cedaw, commentano il decreto legge contro femminicidio, cyberbullismo e stalking approvato dal Consiglio dei ministri l’8 agosto scorso.

L’Unione delle donne italiane, la Casa internazionale delle donne, Giulia (Giornaliste unite libere e autonome) e le associazioni aderenti alla piattaforma Cedaw (tra le quali Be free, Pangea, Le nove, Action aid, Giuristi democratici) hanno espresso le loro perplessità “in primo luogo perché non sussistono i presupposti di urgenza necessari all’adozione del decreto legge. In secondo luogo, perché il decreto prevede un piano contro la violenza sulle donne a costo zero, quando nessuna forma di prevenzione, formazione e protezione, può essere intrapresa senza investimenti mirati. In terzo luogo, perché la violenza di genere è affrontata insieme a una serie di altre norme che nulla hanno a che vedere con questo tema, dato che il decreto legifera anche in materia di protezione civile e ordine pubblico, tanto da porre dubbi di costituzionalità”.

L’analisi di Barbara Spinelli, avvocata esperta di femminicidio che ha curato la redazione del Rapporto ombra della Cedaw in Italia, mette in luce che “il governo avrebbe dovuto raccogliere dati per capire se il problema effettivo è l’assenza di strumenti per intervenire efficacemente o, come invece dice l’Onu e affermiamo noi operatrici, è l’inadeguata applicazione delle misure esistenti a mettere in pericolo la donna. Misure che non vengono attuate a causa dell’assenza di formazione e dei pregiudizi”. Per Spinelli “questo decreto legge introduce, inoltre, misure che differenziano la posizione di una donna vittima di maltrattamento da quella di un tentato omicidio e che non porteranno a una efficace protezione delle vittime”.  In tal senso, il provvedimento, va addirittura a “ridurre i diritti e le garanzie previsti dalla Convenzione di Istanbul e dalla direttiva europea a tutela delle vittime di reati. Quindi, pur in presenza di alcune norme positive, come l’esame protetto della persona offesa, la risposta è inefficace ed è ben lontana dalle reali esigenze delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza. Anche le riforme apportate al codice penale e di procedura penale, introducono norme che non garantiscono  la protezione che le istituzioni dovrebbero assicurare”. Tra gli aspetti criticati, il permesso di soggiorno alle donne straniere, “che riduce le possibilità di rilascio solo ai casi in cui ci sia grave e concreto rischio di vita per la donna”.

Secondo Luisa Betti, giornalista e referente di Giulia per No more “la mancanza di formazione di tutti i soggetti coinvolti (dai giudici, alle forze dell’ordine, dagli operatori, ai giornalisti) è la nota dolente che questo decreto non prende in considerazione”. Per Vittoria Tola, responsabile nazionale dell’Unione delle donne italiane, invece “è molto grave che il governo abbia incluso nel decreto legge l’elaborazione a costo zero del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, quando ancora non ha provveduto a verificare e rifinanziare il vecchio Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, in scadenza a novembre”. Simona Lanzoni, vice presidente della fondazione Pangea onlus spiega: “C’è il sospetto che il provvedimento sia stato adottato con tanta urgenza per fornire un’apparente risposta alle obbligazioni delle raccomandazioni Onu del 2012, che davano all’Italia un anno di tempo per adottare misure in materia di violenza di genere”. Cosa fare allora per le rappresentanti delle associazioni? “Vogliamo che il governo convochi un tavolo di confronto per affrontare nel merito il decreto legge in relazione alle proposte fatte dalla Convenzione No more”.

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