Al mare mi è sempre piaciuto osservare i bambini che scavano buche, che fanno castelli. Spesso si impegnano con una dedizione totale, incuranti del sole allo zenith e dei passanti maldestri vanno avanti a fare e disfare per ore.   

A volte interviene un papà o qualche adulto che si sente investito del compito di portare a termine la missione. C’è chi moltiplica bastioni e torrette, innalza guglie, scava cunicoli e sotterranei sotto gli occhi luccicanti dei figli. E poi c’è il signore più in là, quello con tre maschietti che gli sgambettano intorno portando secchielli di sabbia e formine, inciampando sulla rena pur di collaborare.   

Il suo “castello” è un singolo panettoncino piuttosto scarno, senza alcun orpello: niente cupole e bastioni, niente merli ad ornare la sommità già un po’ sbriciolata. Quello che è imponente invece è l’impianto difensivo. La misera costruzione è circondata da una mastodontica cinta muraria con tanto di contrafforti. Il tutto è contornato da un ampio fossato che drena verso l’esterno l’acqua di un’eventuale onda. E intorno altre mura e un altro scavo per dirottare il mare.   

I bambini guardano ammirati le fortificazioni di papà, che sembrano davvero a prova di onda. Chissà se anche queste piccole cose portano il segno di quella paura che qualche volta ci striscia addosso, ci intacca, soprattutto quando abbiamo tutto, non ci manca niente. Paura che tutto ci si sbricioli sotto le mani, si sciolga con uno spruzzo d’acqua salata.   

Bello sarebbe riuscire a pensare solo al castello, a farlo più bello possibile, a mettercela davvero tutta per fare un capolavoro. Respirare a pieni polmoni mentre la risacca zittisce il ronzio dei pensieri e costruire insieme con i figli senza timore. Tenere lontana la paura finché il sole scalda, finchè gli sguardi dei bambini ci innalzano al ruolo di grandi architetti che sanno come fare.   

Il mare, comunque, verrà.

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