Le agenzie di intelligence Usa spendono milioni di dollari nella caccia a ipotetiche minacce interne alle stesse organizzazioni. In particolare, a Washington si teme l’eventualità che persone con legami con gruppi terroristici possano essere assunti dalle agenzie. Timori di cui dà conto il Washington Post, sulla base di documenti classificati sui bilanci per le spese dell’intelligence forniti da Edward Snowden, l’ex tecnico della Cia e consulente dell’agenzia per la sicurezza nazionale Usa, oggi rifugiato in Russia, le cui rivelazioni hanno svelato la pervasività dei programmi di sorveglianza statunitense.

Secondo quanto emerge dalle carte, i dettagli personali di un candidato su cinque, pronto a farsi reclutare dalla sicurezza Usa, rivelerebbero legami con servizi in intelligence ostili o gruppi terroristici. La cifra riguarda il totale dei candidati giudicati sospetti. Un numero “esiguo” di casi, scrive il quotidiano citando fonti della Cia, ma non quantificato con esattezza. Tra le organizzazioni i cui nomi ricorrono con maggiore frequenza sono elencati Hezbollah, Hamas e gruppi legati alla galassia di al Qaeda.

Un timore tale da spingere la Nsa a lanciare un piano per indagare su almeno 4.000 casi di comportamenti giudicati “sospetti”, emersi dopo aver passato al setaccio decine di migliaia di dati raccolti studiando come il personale lavorava sui computer. Segnali d’allarme della potenziale pericolosità di un impiegato sono considerati ad esempio l’aver scaricato tutte in una volta grosse quantità di documenti o l’accesso a banche dati di cui normalmente non si fa uso. Con la diffusione nel 2010 dei documenti segreti in mano a WikiLeaks, l’attenzione per quelle che a Washington sono considerate minacce interne è al centro dell’attenzione dell’intelligence Usa.

Lo scorso novembre la presidenza statunitense ha svelato la politica sul tema. Per i critici, uno dei punti controversi della strategia è il mettere sullo stesso piano fonti giornalistiche come Chelsea Manning, prima conosciuta come Bradley, o Snowden, con personaggi legati a organizzazioni terroristiche o coinvolti nello spionaggio per altri governi. I documenti rivelano inoltre un nuovo sistema di condivisione che alcuni analisti considerano fonte di ulteriori rischi. Si tratta di un database, dal nome in codice Wildsage, per facilitare la condivisione delle informazioni sensibili.

In totale il Black Budget a disposizione delle agenzie come la Cia e la Nsa ammonta a 52,6 miliardi di dollari. Fondi, scrive il Post, destinati a finanziare le attività che hanno come obiettivo Paesi avversari, come la Corea del Nord e Iran, ma anche governi in teoria alleati. È il caso del Pakistan. “Nessun altro Paese ha attirato allo stesso modo l’attenzione della sicurezza nazionale”, spiegano i documenti. A Washington si tiene d’occhio il deterrente nucleare di Islamabad e la capacità del governo pachistano di proteggerlo. Si cerca inoltre di valutare la lealtà dell’antiterrorismo pachistano. Sui rapporti tra i due Paesi pesano le frizioni per i raid con i droni compiuti dagli statunitensi contro miliziani che trovano riparo nelle aree tribali pachistane. Pesa inoltre l’assalto delle forze speciali americane che a maggio di due anni fa portò all’uccisione di Osama bin Laden, condotte senza che le controparti pachistane fossero state avvisate. Per sei anni il leader latitante di al Qaeda si era nascosto in un complesso nella città di Abbottabad, non distante dalla capitale pachistana e da uno dei centri d’addestramento delle Forze armate locali. Circostanza che ha sollevato sospetti su possibili protezioni per lo sceicco saudita all’interno di settori degli apparati pachistani. I documenti spiegano inoltre come l’intelligence Usa sia venuta a conoscenza di violazioni dei diritti umani e di ufficiali pachistani al corrente, forse addirittura per averli ordinati, di omicidi extragiudiziari. Temi su cui gli Usa non hanno voluto insistere per non creare ulteriori tensioni.  

Se gli Usa stanno espandendo la propria rete di spie e di raccolta di informazioni nel Paese dei puri, ha spiegato Husain Haqqani, ambasciatore pachistano a Washington fino al 2011, questo può aver soltanto un significato: la sfiducia verso il Pakistan 

di Andrea Pira

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