La notizia che in Grecia si mettono in vendita – a metà prezzo – scatole di cibi anche oltre la data di scadenza è stata presentata in Italia – almeno dai giornali in rete – in una maniera che la dice lunga su come siamo indietro. Praticamente è stata presentata come un segno di disperazione, o perlomeno come un cedimento delle ragioni della salute rispetto alle ragioni della crisi. Prendo una citazone per tutte, da voxnews.info:

“Nuovo successo dell’euro in Grecia, dove il dramma della crisi non ha fine. Da domani nel Paese entra in vigore un nuovo provvedimento anti-crisi: cibi scaduti in vendita nei supermercati per un periodo limitato e a prezzi più bassi. Le confezioni di questi alimenti dovranno essere sistemati su scaffali appositi. Divieto, invece, di vendere cibi scaduti per ristoranti e bar. Immediata la reazione dell’Associazione dei Consumatori che ha definito il provvedimento un’offesa alla dignità del popolo greco.”

Questo tono e questo taglio spiegano perchè gli italiani siano come i greci, tra i popoli europei che sprecano più cibo in vari modi. Tra i quali c’è anche la non disponibilità a consumare cibo oltre le superprudenti- quando non paranoiche – date di scadenza scritte sulle confezioni. Se meno del 30% di italiani  e greci mangerebbe un cibo che superi quelle date, in Nord Europa è tutto il contrario. La stragrande maggioranza dei cittadini a Nord delle Alpi ha capito che le date delle scadenze sono super-prudenziali e che si può consumare il cibo che le supera. Cito uno dei pochi articoli che raccontavano questa notevole divergenza di reazioni.

Le campagne contro lo spreco di cibo condotte in Italia dal professor Segrè avevano da tempo preso nel mirino l’esagerata abitudine di prendere alla lettera quella data di scadenza. Che indica la perfetta conservazione ai fini delle qualità dei cibi, non limite oltre il quale va a rischio la salute.

La Grecia avrebbe già da anni fatto bene a promuovere la vendita scontata di prodotti che vengono salvati dallo spreco. Ma la Grecia è ancora un paese dove non si trova  –  come ho visto di persona – una seria raccolta differenziata dei rifiuti. (Magari, se venisse introdotta di colpo, qualche giornale italiano titolerebbe. “Crisi in Grecia, i cittadini costretti a raccattare bottiglie di plastica e lattine vuote”). Probabilmente perchè la raccolta differenziata ha dei costi iniziali, e rende se c’è attiva la filiera del riciclo.

Per le stradine della costa Ionica – come nell’interno dell’Epiro – ho raccolto nei giorni scorsi dei fichi buonissimi. Non mi sono introdotto in proprietà private. Erano “fichi pubblici”, e nessuno se ne curava. Al mercato costavano oltre 3 euri al kilo, ma per terra ce n erano molti caduti, e io ne trovavo di ottimi sui rami, a portata di mano. (“Effetto crisi, c’è gente che raccoglie i fichi dagli alberi senza essere pagata per farlo”?) 

Ai ristoranti c’è sempre gente ma ordina meno portate. La tradizione greca era quella di ordinare il doppio di ciò che si riesce a mangiare e di fare a gara a chi lascia tavoli con più resti, segno di abbondanza.
Ora qualcuno in Italia potrebbe scrivere: “Eurodisastro, greci affamati, mangiano tutto quello che ordinano al ristorante”:

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