E’ evidente che il Pd è in stato confusionale. In Toscana in questo scorcio d’estate la cosa assume un rilievo plastico attraverso le feste, tradizionale appuntamento del popolo (ex) di sinistra. Da un lato, cercando di tenere con un’operazione un po’ nostalgica il suo zoccolo duro elettorale, i vertici regionali del Pd richiamano alla festa di Firenze gli Inti Illimani (senti chi si rivede! anni Settanta puri e duri: ma in Cile non è più successo niente da allora, musicalmente parlando?) per ricordare il quarantesimo anniversario del golpe in Cile che detronizzò Allende; dall’altro, a pochi chilometri di distanza da lì, una zona rossa rossa rossa come Martignana, piccolo paese nell’empolese, rinnega la festa democratica per trasformarla in festa “di fine estate”.

Non si riconoscono più – dicono quelli del locale circolo Arci – in un partito che fa alleanze con Berlusconi, che lascia che tutte le battaglie “di principio” se le intesti lui (vedi l’Imu), le vinca e se ne appropri. Non si riconoscono più in un partito che promette una cosa in campagna elettorale e poi fa esattamente il contrario, che tradisce se stesso perfino in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, come è accaduto con il voto su (contro) Prodi. Non vogliono più avere a che fare con quella nomenklatura a cui pure un tempo attribuivano il valore di guida (D’Alema andò perfino a Martignana una vita fa a discutere con loro che gli rimproveravano di fare il governo con i voti di Cossiga) e che ora sembra averli traditi. Così la Festa che fu del Pd diventa una sorta di sagra di stagione.

Finalmente una presa di posizione politica, anche se legata più al liscio e alle salsicce che al dibattito sulla società futura. Verrebbe da dire che c’è vita nel Pd!

Eppure appena trent’anni fa il popolo di sinistra sapeva ascoltare chi gli parlava di morale e di felicità, come mostra La voce di Berlinguer, piccolo documentario sull’ultima grande figura del Pci che sarà presentato stasera alla Mostra di Venezia. All’epoca chi si diceva di sinistra metteva al centro della propria fede politica temi di respiro universale, a volte venati di larghe dosi di utopia, ma sempre legati a una visione. Il cinema italiano sembra volere (o dovere) in tante forme ricordare queste basi stesse dell’appartenenza di sinistra.

La classe dirigente piddina oggi è colta da una specie di miopia: non si sa più vedere lontano, si sbircia appena il terreno circostante per trovare piccole vie di salvataggio, magari appena provvisorie, rispetto all’ingombro dei problemi (vedi il modo di uscire dall’impasse dell’elezione presidenziale). La felicità, che prima era un concetto riservato al futuro, a una società a venire più giusta e più capace di dare a tutti le stesse opportunità, ora è diventata un’idea usa e getta.

Sarebbe un bel segno se a Martignana, con un po’ di umiltà, qualche dirigente del Pd andasse alla Festa di fine estate a riconquistare la base disillusa spiegando, senza infingimenti, le ragioni di questi “tradimenti” e mettendo a confronto la propria storia con il proprio presente politico.

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