E fu così che il professor Valerio Onida cambiò idea sulla legge Severino: nella prima decade del mese applicabile senza se e senza ma, nella seconda decade sospetta di aver più d’una pecca. Sul caso B., all’indomani della condanna, insieme ad altri colleghi viene interpellato anche Onida, presidente emerito della Consulta, ex presidente dei costituzionalisti italiani, nonché avversario sconfitto del sindaco Pisapia alle primarie milanesi del 2010.

Sulle sorti del senatore pregiudicato, il primo Onida d’agosto sembra davvero membro del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia (quale in effetti è): “La legge Severino non è una norma penale per la quale valga il principio d’irretroattività rispetto al momento del fatto commesso. Conta dunque non il momento del fatto commesso e penalmente rilevante, ma il momento in cui è stata prevista, prima delle elezioni, la causa di ineleggibilità, cioè l’esistenza o la sopravvenienza di una condanna definitiva di un certo tipo. La deliberazione di decadenza dovrebbe essere obbligata”.

Tanto che – intervistato da Repubblica , rispondendo alla domanda “Se invece si dovesse formare una maggioranza che blocca la decadenza che cosa succederebbe?” – si esprime perentoriamente: “Verrebbe commessa un’illegalità”.

Dunque, quando due giorni fa il Sole 24 Ore ha pubblicato un suo editoriale, molti lettori devono aver strabuzzato gli occhi: “Chi scrive è convinto che il dubbio sia infondato in quanto non si tratta di applicare una nuova sanzione, ma di far valere una causa di ineleggibilità che il legislatore del 2012 ha voluto introdurre come limite al diritto di elettorato passivo”. Ma poi aggiunge una “via d’uscita”: “Poiché il dubbio di costituzionalità della legge viene avanzato da molte parti ritenendo che siamo davanti a una nuova sanzione, la Giunta delle elezioni, o forse meglio, l’assemblea del Senato su proposta di questa potrebbe d’ufficio o su istanza di parte, sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale sospendendo il giudizio in attesa della pronuncia della Consulta”.

Cioè, visto che i cortigiani di B. vengono colti dall’improvviso quanto atroce sospetto di incostituzionalità, allora bando agli indugi e s’interpelli la Corte. E la grazia, “possibile ma impensabile” nei primi giorni del mese, a Ferragosto diventa “sensata solo se Berlusconi esce di scena”. Quale sia la vera convinzione di Onida non è chiarissimo. Si potrebbe chiedere ai due burloni della Zanzara di organizzare un’altra finta telefonata pro veritate al giurista.

Ad aprile, poco dopo esser stato nominato nei caschi blu del Quirinale (il comitato dei saggi), Onida viene raggiunto dalla chiamata di una finta Margherita Hack, l’astrofisica scomparsa in giugno. “Il lavoro del comitato è probabilmente inutile”, dice Onida all’imitatrice della Hack. “Serve a coprire questo periodo di stallo”, spiega ridendo. Segue un pensiero su Berlusconi: “È anziano, un mio coetaneo. Potrebbe andare a godersi la sua vecchiaia e lasciare in pace gli italiani”.

E dire che era stato proprio Onida a difendere Berlusconi da quei bricconi che desideravano far valere la legge 361 del 1957 per far dichiarare il fu Cavaliere ineleggibile. Alla messa in onda della telefonata seguirono precipitose quanto costernate chiamate al Colle, scuse e una proposta di dimissioni prontamente respinta da Napolitano.

Del resto, poteva il Presidente dimenticare l’attenzione dimostrata da Onida l’estate scorsa, durante il dibattito sulla trattativa Stato-mafia? Allora il giurista intervenne, sostenendo l’operato del Quirinale: l’azione della Procura di Palermo – che era inciampata nelle telefonate tra Napolitano e Nicola Mancino –, era secondo lui illegittima. Non solo: l’eventuale falsa testimonianza di Mancino, resa da privato cittadino in tempi recenti, avrebbe dovuto essere giudicata dal tribunale dei ministri, visto che lui era stato ministro vent’anni prima.

Solo gli stolti non hanno dubbi.

 

il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2013

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