“Ogni libro nuovo che leggo deve avere qualcosa di più, deve essere più grosso e melodrammatico per mantenere vivo il mio interesse. Li divoro come caramelle. Ne leggo due o tre al giorno. Posso scriverne uno, ne sono sicuro, una grande saga che guadagnerà un sacco di soldi, così potrò mangiare pizza tutti i giorni.”

E io glielo auguro, non di mangiare pizza tutti i giorni, ma di avere milioni di lettori che leggano questo suo bellissimo e vivissimo libro. L’autore in questione è Binyavanga Wainaina, uno dei più influenti intellettuali africani contemporanei, e il testo è Un giorno scriverò di questo posto (edito in Italia da 66thand2nd e tradotto da Giovanni Garbellini).

Come scritto su Africa News: “è un memoir straordinario che rompe con la visione postcolonialista dell’Africa e regala l’immagine di un continente nuovo. Incarna l’urgenza di raccontare la propria storia e la storia del continente africano, ma anche il bisogno imprescindibile di descrivere il mondo con parole proprie“.

Dal 1978 ai giorni nostri Binyavanga Wainaina racconta non solo la sua storia e quella della sua famiglia, ma racconta la storia del Kenya (il suo Paese), quella dell’Uganda (la terra di nascita della madre) martoriata dalla dittatura sanguinaria di Idi Amin. Racconta la sua passione per i libri e la scrittura, il suo diventare grande, le trasformazioni abbruttenti dell’Africa Occidentale, passando da Jomo Kenyatta a Daniel Toroitich arap Moi. Racconta le mode degli anni ’80, la musica di Michael Jackson, i giochi tra fratelli, le delusioni scolastiche. Racconta di parrucchiere, bici-taxi, meccanici, laghi, colori sgargianti, danze, sudore, fatica, innocenza e sorrisi. Racconta del Sudafrica caotico e inedito del post-apartheid, del Togo scosso dalla febbre dei mondiali di calcio, della Nigeria elegante e disperata. Racconta di lingue, slang, dialetti, etnie, mescolanze, divisioni, melting-pot.

Un giorno scriverò di questo posto è una fiaba africana con striature jazz, è un’improvvisazione libera e sofferta, è il percorso di una vita dissoluta e al contempo disciplinata. Potrebbe essere usato come manuale scolastico (insieme al bellissimo Il forziere di Zanzibar di Aidan Hartley, bianco e africano al cento per cento) per aiutare scolari europei e occidentali a capire gli ultimi quarant’anni post coloniali del Continente Nero.

Siamo figli della guerra fredda. Abbiamo fatto la maturità quando è finita, abbiamo visto i nostri paesi appallottolarsi come carta. Come se i Grandi Laghi si fossero innalzati su tutta la cartina geografica per poi abbatersi sopra, facendo sì che fiumi di ruandesi, kenyani e altri si riversassero in Congo, in Tanzania, in Kenya. Poi il Kenya si è scrollato e quelli si sono rialzati e sono stati trascinati fino in Sudafrica.

Merito anche di una traduzione impeccabile, che riesce a consegnare ai lettori lo stile cantilenante, sincopato e dialogico dell’autore, Un giorno scriverò di questo posto è un libro da non farsi scappare, così come non è da farsi scappare l’autore: Binyavanga Wainaina sarà infatti ospite alla diciassettesima edizione di Festivaletteratura che si terrà a Mantova da mercoledì 4 a domenica 8 settembre 2013. Non mancate.

 

 

Articolo Precedente

Humpty Dumpty e la poesia di ricerca in Italia

next
Articolo Successivo

Stelle, storie, cieli e trulli: in Valle d’Itria di scena il Festival dei sensi

next