I numeri dicono che l’Emilia Romagna è tra le realtà più virtuose in fatto di raccolta differenziata dei rifiuti. Non siamo la regione migliore, ma è indubbio che, da tempo, rappresentiamo un punto di riferimento importante nella gestione di una partita così delicata come quella rappresentata dagli scarti del nostro modello di sviluppo onnivoro e invasivo.

I quattro milioni e mezzo di residenti producevano nel 2011 673 Kg./ab all’anno (con una diminuzione del 3,5% rispetto all’anno precedente). In totale sono stati prodotti 3 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui ben il 38% nei 9 capoluoghi di provincia. L’obiettivo che la regione intende darsi di qui al 2020 è il raggiungimento del 70% di raccolta differenziata, cosa ampiamente possibile visti gli esempi virtuosi di alcune province (Reggio Emilia e Parma su tutte). 

L’errore che si continua a fare però è quello di non escludere dalla strategia impiantistica e dalle azioni da mettere in campo per eliminare il problema, la possibilità di incenerire le materie prime seconde.

Nel Documento preliminare al Piano Regionale Gestione Rifiuti si parla di riduzione e prevenzione, riciclo e riuso. Ma poi si inciampa poche righe più avanti nelle solite discariche e nei sempreverdi inceneritori. Si cita addirittura la Risoluzione del 24 maggio 2012 nella quale il Parlamento europeo invita la Commissione a presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l’incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili, salvo poi ammettere candidamente che di quei 3 milioni di tonnellate ancora oggi oltre un milione finisce nelle 16 discariche attive e 960 mila tonnellate negli 8 impianti che bruciano risorse (dati 2011).

Ora, il momento è assolutamente decisivo visto che si sta rivedendo il Piano Regionale dei Rifiuti che condizionerà le scelte di enti locali e multiutility per i prossimi anni. E allora la sfida che la politica deve darsi è quella di immaginare un orizzonte diverso, possibile perché già ampiamente sperimentato a livello locale (si vedano a questo proposito le eccellenze di Ponte nelle Alpi – BL, Capannori – LU e della Provincia di Treviso con il Corsorzio Priula).

Costruire cioè una strategia industriale, e una conseguente filiera delle azioni e degli impianti a livello locale, libera dalla ghigliottina dell’incenerimento, che rappresenta un passato da superare. E’ ormai assodato che bruciare i rifiuti non conviene a nessuno: inquina, spreca materia, toglie consenso, non crea occupazione, costa troppo. 

La speranza è che il Presidente Errani sorprenda tutti, e voglia fare dell’Emilia Romagna la prima regione d’Italia che sceglie chiaramente una strada diversa per la gestione dei rifiuti, abbandonando il passato di tecnologie obsolete e scegliendo un futuro fatto di riduzione, prevenzione, riuso e differenziazione.

Chiudere i camini e le discariche, oggi, è possibile. Serve una politica all’altezza del compito.

 

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