Partono vuoti i charter per Sharm el Sheikh, i vacanzieri italiani disertano l’Egitto dopo i tardivi allarmi della Farnesina e con i leader mondiali che, altrettanto tardivamente, sostengono ora la necessità di fermare le violenze al Cairo.

Dopo migliaia di morti (cifre certe non ce ne sono, ma le scene di guerra civile nella megalopoli egiziana lasciano pochi dubbi sull’entità del numero delle vittime) la comunità internazionale si ferma attonita a osservare il mattatoio nel quale è stata trasformato il Cairo: una trappola per i supporter dei Fratelli musulmani che a centinaia di migliaia si sono riversati nelle strade, sfidando i blocchi di tank, i cecchini sui tetti e gli elicotteri a volo radente.

La fine dell’improbabile illusione che il golpe bianco contro il presidente musulmano Morsi potesse risolversi con la calma di piombo è svanita in queste ore e ciò che ci si aspetta fuori e dentro l’Egitto è che la sfida della muraglia umana sollevata dal movimento islamico continui a infrangersi contro polizia e militari schierati.

I Fratelli musulmani, che a centinaia si sono rifugiati nelle moschee – dove sono stati organizzati obitori per le vittime – hanno come parola d’ordine quella di continuare la mobilitazione contro l’usurpatore militare. L’uno e l’altro fronte, in un meccanismo da perfetta guerra civile, sono certi che a vincere sarà quello che resisterà più a lungo: massa umana contro reparti militari, potere della fede contro potere delle armi.

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