La più bella vacanza della mia vita è quella dove non c’è campo. Scrive Daria Bignardi. Sconnessi da IPhone e IPad ma connessi con noi stessi. Contare le stelle cadenti, se ne siamo ancora capaci. Ed emozionarci davanti a un sole che si tuffa in mare senza doverlo condividere con il mondo intero su Instagram, con il sottile intento più o meno conscio di stimolare reazioni di invidia ( io sto qui e tu dove sei?).

Oppure fare alla maniera di Umberto il grande, alias Pizzi, pensatore dell’arte zen del tinello di casa (propria). Una filosofia che risulta sempre più vincente, d’estate ancora di più. Pizzi mi dice: “Me ne rimango qui, a casa mia in campagna, a Zagarolo, un magnifico posto con rose ed animali che ti passano accanto senza curarsi di nulla, ascoltando Mozart mentre lavoro. Si, e’ certamente una vita da augurare ad ogni essere umano di questo mondo. Però mi sento anche un po’ depresso, perche capisco che il mondo, come lo abbiamo visto noi, è finito. La gente ormai non sa più godersi la vita, è tutta presa dai problemi propri che vorrebbe risolti subito, senza curarsi degli altri. Si c’e’ un egoismo bestiale, Non abbiamo più neanche il gusto di frequentare gli amici e di raccontarci, ormai per far sapere qualcosa di chiunque si chatta su Facebook. Mi sembra che sia passata un’epoca quando, grazie al mio lavoro, colloquiavo con la gente, dal povero palestinese che viveva in una baracca di metallo nella Valle della Bekaa, al potente di turno al Plaza di New York. Si cercava il contatto umano, era proprio quello che dava piacere. Ora no, ci si cerca solo Facebook o twitter: che tristezza. Comunque sto lavorando con il Fatto che mi da molte soddisfazioni… ” Ad Ottobre, a Umberto, 50 anni di carriera sul groppone, da fotoreporter a ritrattista della dolce vita, daranno ad Ischia un premio speciale ” Quando la fotografia racconta” mentre un’altra mostra sulla sua opera sarà organizzata dall’Istituto Italiano di cultura di Mosca.

Detesto il termine vacanze intelligenti. Non fa nemmeno più radical chic. Ma Adriana Pignatelli Mangoni di un posto di vacanze ne ha fatto un motivo di ricerca antropologica. Napoletana, pittrice di gouaches, vive parte dell’anno tra Napoli e le Eolie, due posti che hanno molto in comune: “Il mare omerico color viola, la potenza degli eventi naturali, la gente in eterna attesa, i vulcani che danno un senso di precarietà alla nostra vita…”. Ha creato il “Museo Diffuso”, praticamente ha racchiuso il “fermentoso” mondo eoliano in una stanza di una vecchia casa di pescatori, color ocre. Il tutto nella cornice del parco archeo/vulcanologico. Alle pareti la carta geologica di Panarea, una classificazione delle piante medicinali del posto, una tavola dell’evoluzione della vita animale e antichi utensili usati da millenni. Certo, non è cosa per i patiti della tintarella, per i forzati dei racchettoni da bagnasciuga. Per nulla infastiditi, se non rassicurati, da quella cafonaggine che si misura in centimetri, cubici per i seni siliconati e lineari per i tacchi 12 anche in spiaggia.

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