Giada è una bellissima bambina di 11 anni gravemente malata di leucemia. Quando le terapie mediche non riescono a battere la malattia, una speranza deriva dal trapianto di midollo (le cellule del midollo di un donatore sono trapiantate al paziente per sostituire progressivamente le sue cellule anormali). Purtroppo Giada non ce la fa e perde la battaglia.

Il pensiero di tutti non può che andare alla piccola che ha visto la sua vita chiudersi troppo presto, ma anche ai suoi genitori, il cui dolore è solo difficilmente immaginabile. Ma quando al dolore per una perdita così grave si aggiunge quello della beffa della superficialità è difficile trovare giustificazioni. Subito dopo la morte di Giada si spargono voci incontrollate, soprattutto su Internet, patria delle bufale. Secondo quanto sostengono diverse testate, la donazione rivelatasi compatibile poteva provenire da un cittadino americano che però si sarebbe rifiutato in quanto la bimba aveva nazionalità italiana. L’incredibile notizia si sparge in maniera incontrollata, dalle testate online ai piccoli siti, fino a quando diventa di dominio pubblico. Arriva così anche in televisione, un servizio del TG5 di Ilaria Dalle Palle che raccontava la vicenda. I genitori di Giada avevano acconsentito alla richiesta di intervista con lo scopo di diffondere informazioni sulla malattia che aveva colpito la loro bambina e per sensibilizzare gli ascoltatori su temi come le donazioni di midollo. Un gesto nobile, soprattutto in un momento come questo. Ma il servizio televisivo ripete la storia del donatore “razzista” e delle parole di sensibilizzazione non vi è alcuna traccia. La notizia naturalmente diventa occasione per scontri feroci sulla cattiveria degli americani, nel web i commenti si sovrappongono: “maledetto”, “e se questo americano avesse avuto sua figlia malata?”.

La signora Dalle Palle, giornalista, come tutti i giornalisti avrebbe avuto il dovere di verificare la notizia, ne ha avuto occasione incontrando i genitori di Giada ed invece ha confezionato un servizio degno del peggior gossip estivo, vergognoso. Già, perché l’americano che avrebbe rifiutato la donazione per Giada non è mai esistito, un personaggio inventato, lo ha confermato il centro nazionale trapianti e lo stesso papà della bambina, 

Giada ha smesso di vivere nonostante i possibili donatori (uno tedesco, in particolare) si fossero messi subito a sua disposizione, addirittura venendo in Italia per l’intervento. Il servizio sul web ed in televisione è un vero esempio di cattivo giornalismo e dimostra il livello spazzatura dell’informazione in Italia (la ricerca delle fonti e la veridicità dell’informazione sono l’abc del giornalismo), ma visto che lo scopo dei genitori di Giada era quello di sensibilizzare altri genitori come loro, spargiamo questo seme. Il papà di Giada è giustamente arrabbiato, molto. Non ha apprezzato la lettura di una vera e propria leggenda sulla pelle della figlia, ma ha apprezzato ancora meno il comportamento di chi ha preparato il servizio televisivo che lui aveva realizzato con il solo scopo, a suo dire concordato con la giornalista, di incoraggiare le donazioni e la ricerca per salvare altri bambini, in nome della sua tragedia, come racconta sulla sua pagina Facebook: “…avremmo raccontato la nostra tragica esperienza […] per far si che la nostra, se pur dolorosa e drammatica esperienza sia di un possibile aiuto, anche se dopo aver ascoltato la nostra testimonianza, una sola persona al mondo avrebbe donato il midollo e salvato un bambino, ecco che Giada avrebbe compiuto il secondo miracolo!”.

Due errori dunque, una bufala spacciata per verità (con l’aggravante dell’aver inventato un personaggio “cattivo” inesistente) e la mancata disponibilità a dare voce al papà di Giada: perché la bufala è stata diffusa in un lampo, la smentita e la voce del papà della bambina non le ha viste nessuno nonostante in qualsiasi professione, chi commette un errore, ne paga le conseguenze o cerca di recuperare in maniera congrua. Non si chiede “giustizia” in questi casi quindi ma correttezza, onestà e professionalità o se proprio vogliamo, rispetto per una bambina che non ce l’ha fatta. Se il rispetto vale anche per chi fa informazione, naturalmente.

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