A Praga il governo tecnico non regge. Il premier Jiri Rusnok, economista e socialista, non ha ottenuto come prevedibile la fiducia del Parlamento ceco e quindi ha prontamente annunciato le dimissioni previste per i prossimi giorni. Sette voti, come il numero dei deputati assenti, hanno decretato la fine del governo lampo di Rusnok, nominato premier lo scorso 25 giugno direttamente dal presidente della Repubblica Milos Zeman, anche lui socialista, in seguito alle dimissioni del precedente primo ministro Petr Necas travolto dallo scandalo di corruzione e spionaggio. Quasi impossibile trovare un nuovo accordo di governo, praticamente inevitabili le elezioni anticipate.

Il presidente Zeman pensava di aver trovato la soluzione alla crisi politica del Paese più cupa degli ultimi anni. La fitta rete di malaffare venuta a galla nei mesi scorsi e fatta di intercettazioni telefoniche illegittime anche a scopi personali e compravendita di deputati che hanno coinvolto il precedente premier Necas, il suo braccio destro e amante Jana Nagyova nonché altri deputati ed ex ministri, aveva profondamente minato la fiducia dei cechi nella propria classe politica. Tanto che per evitare elezioni anticipate il presidente Zeman aveva pensato di formare un governo tecnico nominando premier il compagno di partito, ed ex ministro delle Finanze Rusnok. 

Un governo tecnico durato solo 45 giorni visto che Rusnok si è visto negare la fiducia dal parlamento ceco: 93 voti a favore, 100 contro, 7 assenti. Lo stesso Rusnok ha ammesso la “netta sconfitta” e annunciato per i prossimi giorni le sue dimissioni. A nulla sono valsi i ripetuti endorsement di tutti i governatori regionali cechi di centrosinistra (12 su 14). La parte centrista e destra dell’Aula ha votato compatta contro la fiducia a Rusnok per una nomina che non hanno mai accettato perché arrivata “contro le norme costituzionali”, come hanno sempre lamentato. L’analista politico Jiri Pehe ammette che “qualche membro di questo governo è piuttosto qualificato per ricoprire il proprio incarico. Tutto sarebbe a posto se fossero stati nominati in modo corretto. Ma l’intero governo non è altro che un personale progetto del presidente Zeman”.

Lo stesso Jiri Rusnok era stato ministro delle Finanze nel 2001-2002 quando Zeman era presidente del Consiglio. Prima di ricevere il colpo di grazia al suo governo lampo, Rusnok aveva operato un rimpasto di governo e cambiato il vertice della compagnia ferroviaria pubblica. Il prossimo passo sarebbe stato un cambio nell’organo di controllo della società elettrica Cez, anche questa nelle mani dello Stato. Quasi scontate le elezioni anticipate, anche se il politologo Pehe si dice sicuro che “i partiti cercheranno di evitare questa possibilità. Le elezioni sarebbero previste per il maggio 2014, in concomitanza con quelle europee.

Intanto la situazione economica del Paese non sorride. Un recente sondaggio della Confindustria ceca rivela come ben il 27 per cento delle aziende nazionali prevede tempi a dir poco duri. Il Paese si trova in recessione da metà 2011 e la stessa corona ceca ne sta risentendo, tanto che è prevedibile un intervento della Banca centrale (la Repubblica Ceca non fa parte dell’Eurozona). L’effetto di eventuali elezioni anticipate resta quindi un’incognita, soprattutto se dovesse ricrearsi una situazione come quella attuale, priva di una maggioranza netta in parlamento.

@AlessioPisano

Articolo Precedente

Bce: “Ripresa graduale in Ue”, ma Pil frena. Bloomberg: “Italia bloccata dal governo”

next
Articolo Successivo

“Alla Grecia servono nuovi aiuti”. Per Atene nuova bocciatura dalla Bundesbank

next