Caro Presidente,

chi Le scrive è amministratore di uno dei comuni che il precedente governo ha decretato “Amministrazioni virtuose”, per la precisione del centosedicesimo di una lista che è composta purtroppo di sole 143 righe.

La ringrazio dell’accorata lettera che ha inviato al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti a nostro nome e, per quel che può valere, con il mio sindaco la sottoscrivo in toto. Permetta però un modesto ma altrettanto accorato appello riguardo alcuni degli aspetti da Lei trattati.

È verissimo che il dibattito su Imu e fiscalità locale avviene oggi “senza alcun coinvolgimento dei comuni”.

È altrettanto vero che, se il patto di stabilità e i tagli ai trasferimenti non sono diventati quello “strumento di convergenza” che, superando il criterio della spesa storica, avrebbe valorizzato le amministrazioni virtuose e accompagnato alla virtuosità quelle che non lo erano, l’Anci ha oggettive responsabilità.

Stante i criteri lineari e soggettivi applicati, questi strumenti sono diventati una “prigione” anche perché l’Associazione non è mai riuscita a convergere su soluzioni alternative più eque e lungimiranti.

L’effetto malefico per l’economia è stato che, per anni, chi sprecava ha continuato a sprecare, magari un po’ meno, e chi era virtuoso ha visto da subito “mortificata ogni capacità di investimento”.

Ma questo è il passato, andiamo avanti. l’Italia, uscita dalla procedura di infrazione per deficit, potrà beneficiare il prossimo anno di ingenti fondi per investimenti, in parte a favore dei comuni.

Per il bene del paese non un euro di questi fondi dovrà essere sprecato e questo dipenderà non solo da come ma anche da chi li potrà spendere.

Presidente, è troppo se un modesto amministratore di un Comune, dichiarato “virtuoso” per decreto, le formula una proposta?

Rimedi all’errore compiuto dai suoi predecessori, affranchi il paese dalla logica del mal comune mezzo gaudio! L’elenco dei Comuni virtuosi dimostra che il discrimine tra buona e cattiva amministrazione non è geografico: tutte le parti d’Italia sono rappresentate. Né di dimensioni: perché dovrebbero esistere città troppo grandi per fallire o comuni così piccoli da essere virtuosi d’ufficio? Penso ci siano semplicemente comuni ben amministrati e altri meno.

Un allentamento del patto lineare o peggio “di genere”, riservato cioè a ben precisi soggetti, deresponsabilizzando gli amministratori, potrebbe risultare deleterio rispetto all’efficienza nell’utilizzo dei fondi. Nonostante le pressioni, che sicuramente non mancheranno, resista alla tentazione di queste facili ma pilatesche soluzioni.

Quello che serve è individuare una serie di parametri assoluti, ambiziosi e impegnativi: risultato contabile della gestione, capacità residua di indebitamento, quantità e modalità di copertura della spesa corrente, debiti, disponibilità di fondi in cassa, capacità e puntualità di pagamento delle imprese e ogni altro elemento oggettivo utile a qualificare un bilancio virtuoso. Adattare questi parametri alla localizzazione territoriale e alla dimensione, ponderandoli con criteri di solidarietà.

A chi rientra nei parametri sia concesso di amministrare liberamente fino al raggiungimento dei saldi limite stabiliti dal governo, agli altri l’allentamento venga graduato in base a un piano di rientro nei parametri. 

Difficile, certo, ma indispensabile: ne va non solo del morale dei Sindaci, ma delle sorti dell’Italia, che ha un disperato bisogno di investimenti pubblici virtuosi, potenziati dall’effetto dei fondi europei, e che possano essere immediatamente erogati alle imprese a fronte dei lavori eseguiti. Il sentimento che si percepisce in periferia è che questa sia una delle ultime chiamate all’imbarco per il Paese.

Presidente, ci dimostri che si è finalmente voltata pagina.

Con stima,
Giancarlo Ciullo 

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