L’inchiesta su presunte tangenti e fondi neri che hanno coinvolto anche la costruzione del Mose, a Venezia, sfiora la politica. La prima pedina a cadere è quella del consigliere regionale del Veneto Giampietro Marchese (Pd) che si è autosospeso. “Un atto opportuno – hanno spiegato i vertici locali del partito – perché volto ad evitare strumentalizzazioni politiche anche se non previsto dallo statuto del partito”. Marchese, secondo un rapporto della Guardia di Finanza, avrebbe ricevuto contributi “illeciti” per migliaia di euro per la campagna elettorale e in una intercettazione ambientale l’esponente del Pd sarebbe a colloquio con il presidente di una delle società dove lavorava una delle persone arrestate a metà luglio: durante la conversazione si sarebbe anche parlato del sistema messo in campo dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova (al centro delle indagini) Giovanni Mazzacurati, finito ai domiciliari, che avrebbe avuto il potere di decidere quali aziende far lavorare e quali no.

Un’imponente informativa delle fiamme gialle ha raggiunto nei giorni scorsi la Procura di Venezia. Il nodo della questione è che alcune centinaia di milioni di euro potrebbero essere finiti in “fondi neri” per mantenere la “pax” tra le aziende impegnate nei lavori per le opere di salvaguardia di Venezia, come appunto il Mose, o per essere destinati a sovvenzioni illecite, anche in campo politico. L’inchiesta riguarda i reati di turbativa d’asta e fatturazioni false che ha portato a metà luglio all’arresto ai domiciliari di 7 persone, tra i quali l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Mazzacurati, a 7 ordini di dimora, oltre ad un centinaio di indagati e altrettante perquisizioni.

Allo stato delle indagini, le fiamme gialle lagunari hanno chiuso il cerchio su fatturazioni alterate per circa 600mila euro a opera di una cooperativa di Chioggia; soldi che si ipotizza siano finiti in fondi occulti. Ad aprire però la strada investigativa sulla possibile esistenza di un vero e proprio “sistema” in questi ultimi dieci anni, legato alla massa dei fondi per le opere di salvaguardia, ci sarebbe quanto emerso in un’altra inchiesta: quella relativa a Piergiorgio Baita, ex presidente della “Mantovani”, anch’essa società del Consorzio. Anche in questo caso, secondo il “filo rosso” che gli investigatori stanno cercando di ripercorrere, sarebbero stati costituiti “fondi neri” legati ad appalti, non concernenti però gli interventi di salvaguardia.

I sospetti sarebbero sorti anche alla luce dell’atteggiamento tenuto dallo stesso Baita, che in alcune occasioni si sarebbe fatto da parte senza alcun tipo di protesta rispetto a lavori finiti ad altre aziende, anch’esse consorziate. L’esistenza di una fitta rete di relazioni tra società, con al centro sarebbe stato proprio Mazzacurati, emergerebbe anche tra le righe dell’ordinanza emessa dal gip Scaramuzza, che aveva portato ai 14 provvedimenti restrittivi, e nella corposa relazione inviata ai pm dalle fiamme gialle.

Una nota informativa di oltre 700 pagine, delle quali oltre la metà coperte da omissis, che potrebbe riservare ulteriori sviluppi all’inchiesta, specie per quanto concerne il possibile uso dei fondi accantonati e della rete di relazioni tessuta a livello locale e nazionale dall’ex presidente Mazzacurati. La relazione della Gdf assegna un ruolo di preminenza nei passaggi del denaro a Pio Savioli, referente del Coveco ed ex consigliere nel direttivo, ripreso dagli investigatori durante alcuni dei presunti trasferimenti di bustarelle.

Ammonterebbe a quasi 800mila euro il conto delle “mazzette” pagate in tre anni – dal 2005 al 2006, e tra il 2010 e il 2011 – dalle imprese più piccole ai vertici delle aziende del pool del Consorzio Venezia Nuova per ottenere lavori nei cantieri collegati alla salvaguardia. Gran parte delle dazioni in denaro, circa 600mila euro, sarebbe stata scoperta dalla Guardia di Finanza di Venezia nella contabilità in “nero” di una delle aziende al centro dell’indagine, la coop San Martino. Ma è soprattutto con le intercettazioni e i video girati nei confronti degli indagati che i finanzieri avrebbero documentato gli scambi di denaro, con incontri nelle aree di servizio delle autostrade, tra gli imprenditori più piccoli e i vertici delle aziende più grosse collegate al Consorzio. 

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