Una petizione per avere nel 2014 un Tour de France per le donne. E ancor di più, dare al ciclismo femminile la dignità di uno sport vero. “Per 100 anni la Grande Boucle è stata uno degli eventi sportivi più importanti al mondo. E per 100 anni è stato riservato esclusivamente ai maschi. Adesso, dopo un secolo, è tempo di cambiare”. Comincia così il testo che Kathryn Bertine, ciclista statunitense che corre sotto la bandiera di Saint Kitts And Nevis, ha firmato insieme a Emma Pooley e Marianne Vos (medagliate olimpiche a Pechino 2008 e Londra 2012) e Chrissie Wellington. E che in poco tempo ha già raccolto 77mila sottoscrizioni sul web. 

L’obiettivo, come spiega il titolo della petizione, è far sì che il prossimo luglio, quando partità il 101esimo Tour della storia, al via ci siano anche le donne. “Ma quello – spiega Valentina Scandolara – è solo un simbolo: vogliamo soprattutto che a noi cicliste venga riconosciuta la stessa dignità che hanno i nostri colleghi uomini”. Valentina, 23 anni di Soave, due volte campionessa europea juniores, è la principale promotrice dell’iniziativa in Italia. Di cui spiega cause ed aspirazioni al fattoquotidiano.it: “Per chi fa ciclismo il Tour de France rappresenta il top. E non avere la possibilità di disputare la corsa più rappresentativa della disciplina a cui dedichi la vita, semplicemente perché sei donna, è avvilente. E profondamente ingiusto. Per questo abbiamo deciso di provare a smuovere l’opinione pubblica con una petizione. Anche perché non è che le cose altrove vadano molto meglio”. 

Da noi, ad esempio, un Giro d’Italia ‘rosa’ esiste, ormai da più di vent’anni. “E rappresenta la competizione più importante del ciclismo femminile. Ma ciononostante – sottolinea la Scandolara – non viene organizzato dalla stessa società del Giro uomini e l’attenzione mediatica è minima: qualche trafiletto sui giornali, cinque minuti di sintesi in differita in televisione. Il vero problema è questo: noi siamo già atlete, alcune sono vere campionesse. Quel che ci serve è solo la giusta visibilità“.

Per dimostrarlo, Katryne, Valentina e le altre hanno già pronta una soluzione: “L’unico modo per far crescere il ciclismo femminile è correre negli stessi giorni e luoghi degli uomini”. Succede già, ad esempio, alla Freccia Vallone e al Giro delle Fiandre: la gara femminile comincia prima e da un punto più avanzato del percorso, per ridurre leggermente il chilometraggio, e anticipa quella maschile. “E’ una soluzione ottimale – spiega la Scandolara – perché non c’è bisogno di chiudere altre strade, né di aggiungere troppe spese all’organizzazione, mentre si raddoppia lo spettacolo per il pubblico. In Belgio funziona. E anche le ultime Olimpiadi hanno dimostrato chiaramente che quando gli vien dato un palcoscenico importante, il ciclismo femminile è in grado di interessare il grande pubblico. Ora vogliamo esportare questo modello anche nelle altre corse”. 

Nella petizione si parla anche di parità di trattamento sui percorsi e sui premi. “E’ una provocazione – specifica la Scandolara -, ci accontenteremmo di avere un vero Tour de France e un Giro d’Italia più visibile. Siamo consce dei nostri limiti. Però sicuramente meritiamo maggior rispetto: chi vince il Giro donne prende 450 euro (al vincitore del Tour maschile, invece, spettano 450mila euro, nda). E’ un insulto alla nostra professionalità. In migliaia pratichiamo questo sport come mestiere, ma non più di una ventina di atlete al mondo riescono a vivere di ciclismo“. 

Se il progetto delle corse ‘parallele’ andasse in porto sarebbe una vera svolta. E la petizione sta svolgendo un ruolo fondamentale. L’obiettivo, superare le 100mila firme, è vicino. “Ne sta parlando la Cnn, la politica inglese, l’iniziativa ha avuto grande successo“. L’obiettivo è di far partire una corsa ‘pilota’ nel 2014, per poi andare a pieno regime in futuro. Nelle prossime settimane ci dovrebbero essere degli incontri con l’Aso (Amaury Sport Organisation, la società che cura l’organizzazione del Tour, nda). Ma il traguardo è ancora lontano: “Alla fine l’ultima parola spetta ai grandi capi: l’Aso in Francia, Rcs Sport in Italia. E il nostro mondo – conclude Valentina – è ancora tanto maschilista“.

Twitter: @lVendemiale

Articolo Precedente

Carceri, il 90% delle detenute ha un figlio. “Un terzo di loro rischia di finire dentro”

next
Articolo Successivo

Maschilismo, l’egemonia non tramonta. “La colpa? Di stereotipi, tv e politica”

next