L’altro giorno la mia attenzione è stata catturata da alcune dichiarazioni di Jerry Cantrell: chitarrista e co-fondatore degli Alice In Chains, nel pieno della promozione del nuovo “The Devil Put Dinosaurs Here”.

Al suddetto veniva chiesto cosa ne pensasse di internet e, nello specifico, delle possibilità che questa nuova tecnologia può aprire a un musicista: Cantrell si dimostra subito titubante, finché il discorso non vira sullo scottante tema del file-sharing ed è lì che il vecchio Jerry fornisce la peggior prova di sé, inanellando una serie di luoghi comuni insopportabili: “Adesso qualcuno prende una cosa nella quale tu hai messo l’anima, e per realizzare la quale hai investito tempo, fatica e denaro, e decide che non vale niente. Secondo me è una cazzata: non posso andare in un distributore di benzina e fare il pieno gratis, perché sicuramente finirei in prigione“. Eh no caro mio, troppo facile così.

Facciamo ordine:
1 – l’esempio della pompa di benzina suona come un boomerang: nessuno dice che sia giusto non pagare la musica ma ci si chiede piuttosto se sia consono spendere 20 euro per un cd. Al netto dei costi, che non superano i 4-5 euro per unità, cosa giustifica il prezzo finale? Su tutti le royalties degli artisti e l’Iva (che viaggia in Europa tra il 19 e il 25%). Dovremmo stabilire, al netto delle tasse, che costo può avere un LP al giorno d’oggi e quanto può valere una canzone: per Amazon e ITunes non più di 1,29 euro. A mortificare ulteriormente le tesi di Cantrell vi sono esempi eccellenti, non meno quello dei Radiohead, che nel 2007 pubblicarono “In Rainbows” lasciando che fossero i fan a decidere quanto valesse la pena sborsare: non sappiamo se quest’esperimento possa dirsi “riuscito”, poiché il disco venne comunque pubblicato fisicamente e l’idea non è neanche attribuibile ai Radiohead ma il loro coraggio va comunque premiato.

2 – alcuni studi, tra cui una ricerca riconducibile all’Ue hanno rivelato come il download illegale sia più che altro dovuto ad un’urgenza di ascolto, curiosità, tant’è che “la grande maggioranza della musica consumata illegalmente non sarebbe stata comprata legalmente in assenza degli stessi canali pirataspiegano gli autori. Gli utenti dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter premiare i singoli progetti anziché rimanere passivi rispetto alle produzioni dei loro artisti preferiti.

I grandi artisti hanno paura che l’utente, scoperto il bluff, decida di non stare più al gioco? Il discorso prosegue con il pensiero di Mike Inez, bassista della band: “E’ una vergogna, perché là fuori adesso potrebbe esserci un dodicenne con tutte le carte in regola per essere il nuovo Kurt Cobain ma che non potrà mai combinare nulla, perché nessuno sarà più disposto ad investire in un business che non frutti denaro“. Ma la crisi discografica è dovuta anche alla difficoltà delle major nel garantire contratti stipulati anni fa: ne consegue che ovviamente l’ultima cosa che le etichette possono permettersi è investire nelle nuove generazioni.

Propongo una moratoria: pensate alle chitarre sfasciate sul palco e alla voglia che avevate di spaccare il mondo. Rinunciate a parte delle royalties che vi spettano e contribuite alla creazione di un fondo comune per la musica emergente. Prendete questi artisti sul serio, che tanto i vostri dischi – loro sì – li hanno comprati. Non metteteli nelle condizioni di dover guardare a voi come tanti altri. Voi siete i loro eroi.

Grunge Is Dead.

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