Pochi si sono accorti che l’ultimo “Eurobarometro” – sondaggio periodico a cura della Commissione Europea che mette a confronto l’atteggiamento dei diversi popoli dell’Europa a 27 rispetto ad alcuni comportamenti – conteneva una risposta molto sorprendente.

Il sondaggio in generale – 25.500 intervistati nel dicembre 2012, mille gli italiani – era dedicato alla fiducia nei prodotti biologici. Ma l’ultima domanda era questa: è sicuro di consumare prodotti alimentari oltre la data di scadenza riportata sulla confezione? Ha risposto di sì il 51% degli europei, contro appena il 27% degli italiani. Gli italiani sono quindi tra i popoli più propensi a buttare, senza consumarlo, il cibo che ha appena “superato” la data di scadenza. Hanno risposto sì anche il 14% dei romeni, il 22% dei bulgari, il 26% degli ungheresi, il 27% dei polacchi, il 29% dei greci, il 36% dei portoghesi, il 42% degli spagnoli, il 47% degli estoni, il 47% dei danesi, il 50% degli sloveni, il 51% dei lettoni, il 65% dei tedeschi, il 69% dei lussemburghesi, il 73% di belgi e olandesi, il 74% dei francesi, il 75 % dei finlandesi, l’81% degli svedesi. 

La differenza di condizioni economiche, socio-culturali è evidente. Ma con un risultato del tutto contro-intuitivo: i più ricchi e i più nordici risultano essere meno schizzinosi. Un controsenso? Apparentemente sì, ma è pur vero che l’educazione ecologica è ben più salda nel ricco Nord Europa che da noi. E bisogna considerare la “questione climatica”: la percezione del deterioramento degli alimenti è molto, molto diversa se fuori dalla finestra ci sono venticinque gradi o meno venticinque.

Il tema del destino degli alimenti “oltre la scadenza” è molto presente negli ultimi anni nelle campagne e nelle discussioni contro lo spreco di cibo. Il leader e guru italiano della lotta contro gli sprechi alimentari Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria di Bologna, considera le date di scadenza poco più di un artificio. Ha dichiarato più volte di poter mangiare tranquillamente vasetti di yogurt scaduti da quattro mesi, pacchi di spaghetti stagionati da sei, e di “sperimentare” perfino il tonno in scatola, dopo aver ricevuto la lettera di un cittadino che ne fa consumo abituale anche cinque anni dopo la data di scadenza. “Sarebbe addirittura più buono perché così si frolla. Allora ho messo da parte anch’io un po’ di scatolette”. In realtà l’attività nata dall’impulso di Segrè, il Last Minute Market, recupera cibo non ancora scaduto, prima che venga buttato via dai supermercati, e lo fa arrivare alle mense dei poveri. Il grande spreco, quello da milioni di tonnellate, avviene nelle mura domestiche, proprio quando si butta via ciò che sta andando a male, o anche solo si teme che vada a male.

Il Direttore dell’IPLA di Torino Luca Rossi, studia la composizione dei rifiuti non differenziati. “La componente organica, quindi quella costituita da cibo non consumato, è la più rilevante nei rifiuti, persino dove è presente la raccolta differenziata dell’umido. Non abbiamo mai calcolato precisamente quanto di questa massa derivi da confezioni buttate ancora integre, per il solo fatto di aver superato la data di scadenza, ma a occhio sono quantità notevoli”.

Evitare gli sprechi sì, ma con criterio. Dalle pagine del proprio sito, il Banco Alimentare, una delle associazioni che recuperano il cibo in scadenza, raccomanda la cautela. “Se i cibi hanno una scadenza significa che c’è un motivo – premette Laura Toti, microbiologia del Dipartimento di sicurezza alimentare dell’Istituto superiore di sanità -. Dopo la data indicata sulle confezioni, si verificano alterazioni chimiche e microbiologiche che modificano le caratteristiche nutrizionali e organolettiche del prodotto, e che a volte sono anche pericolose per la salute. Inoltre, va tenuto ben presente che chi mangia alimenti scaduti lo fa a suo rischio e pericolo: se subisce dei danni non può avanzare rivendicazioni di nessun tipo, perché la legge non lo tutela. Un po’ di margine, tuttavia, può esserci, ma non per tutti gli alimenti e, soprattutto, soltanto se i cibi sono conservati in condizioni ottimali”. Una distinzione importante è quella fra i prodotti che riportano una scadenza perentoria (“da consumarsi entro”) e quelli su cui è scritto “da consumarsi preferibilmente entro…”. Infatti, “mentre questi ultimi possono essere consumati anche per qualche tempo oltre la scadenza, sicuramente senza danni per la salute, i primi si deteriorano molto più rapidamente, con una perdita molto netta delle qualità tipiche del prodotto, e anche con possibili conseguenze per la salute”.

di Elena Donà e Paolo Hutter 

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