L’entusiasmo è uno stato d’animo, forse un sentimento, importante. Senza è difficile affrontare i problemi della vita e trovare soluzioni. Nella fattispecie di un certo entusiasmo erano improntati gran parte dei titoli dedicati dalla stampa, sia nei quotidiani che nel web, alla recente scoperta di un trattamento efficace nel venire a capo della presenza permanente del virus causa dell’Aids, cioè il virus HIV, nell’organismo dei malati.

Nello studio, compiuto da studiosi italiani dell’ISS, di cui il Fatto ha già dato un tempestivo resoconto, è stato sperimentato su popolazioni di scimmie un nuovo schema terapeutico, basato sull’uso contemporaneo di cinque farmaci antiretrovirali: un inibitore della proteasi, darunavir, un farmaco bloccante il recettore CCR5, maraviroc, due inibitori della trascrittasi inversa, tenofovir ed emtricitabina, e un inibitore dell’integrasi, il raltegravir. I macachi, la specie di scimmie impiegate, sono stati infettati con il retrovirus delle scimmie SIVmac251, capace di provocare nel modello animale una malattia analoga a quella umana. Ai farmaci predetti è stato aggiunto al fine di aumentare l’efficacia della terapia, una sostanza basata sull’oro, auranofin, che si è recentemente dimostrato in grado di limitare il serbatoio virale in vivo.

In pratica lo scopo dichiarato degli autori, attraverso questa che hanno definito HiART (Highly intensified AntiRetroviral Therapy) era quello di riuscire ad entrare nel serbatoio, nei cosiddetti “santuari”, cioè nei luoghi anatomici, e cioè cellule del sistema immunitario, in cui l’HIV sopravvive per così dire allo stato dormiente, per sortire spesso in coincidenza di un’interruzione della terapia antiretrovirale. Sembra che lo scopo sia stato raggiunto almeno nei macachi.

L’esito, lusinghiero, è stato in questo studio quello di provocare oltre ad un permanente azzeramento della carica virale in vivo, anche una sorprendente “pulizia” del serbatoio (reservoir) del virus nelle scimmie, anche alla sospensione del trattamento.

Allora evviva, l’entusiasmo dei titoli era giustificato, abbiamo trovato il Graal nella terapia dell’AIDS. Si guarirà dalla mortale infezione. La speranza può essere tenuta accesa, ma naturalmente, come affermano del resto gli stessi autori, il cammino per un uso clinico è ancora lunghissimo.

Bisogna capire se il modello dell’infezione nell’animale sia riproducibile negli esseri umani. Bisogna tener presente che il virus usato è diverso comunque da quello umano e la sua capacità di provocare una malattia è diversa. Bisogna osservare con attenzione i potenziali effetti collaterali e tossici di un approccio terapeutico così aggressivo. Capire quale il momento migliore, cioè a quale livello di immunodepressione, in pratica il numero di CD4, per iniziare la nuova terapia.

Mi permetto di osservare che probabilmente questo è un esempio di come si vada imponendo l’idea di trattare i pazienti presto ed in modo radicale, con molti farmaci e con meccanismi d’azione differenti. Resta da stabilire inoltre il giorno che questo o un trattamento consimile dovesse rivelarsi un toccasana, quale scelta politica gli organismi sanitari internazionali adotterebbero per trattare i milioni di sieropositivi viventi con HIV nel Sud del mondo con prescrizioni, a quel punto da considerare salvavita, super costose. Bella domanda.

 

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