Si è concluso con la condanna di 23 imputati e l’assoluzione di 13 il processo a Locri scaturito dall’operazione Crimine, condotta il 13 luglio del 2010 dalla Dda di Reggio Calabria contro alcune cosche della ‘ndrangheta con l’arresto, complessivamente, di 300 persone. Sono stati inflitti in tutto, oltre 200 anni di reclusione. La condanna più alta – 19 anni – è stata inflitta a Ernesto Mazzaferro, ritenuto il capo dell’omonima cosca. I 36 imputati processati a Locri sono quelli che non hanno scelto il rito abbreviato, il cui processo è in corso davanti al gup distrettuale a Reggio Calabria.

Il pm della Dda di Reggio Calabria Giovanni Musarò aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati. Tra gli assolti c’è anche Giuseppe Chiera, per il quale il pm aveva chiesto 19 anni di reclusione. La condanna a 19 anni è stata inflitta, inoltre, a Mimmo Gangemi, indicato dalla pubblica accusa come uno dei promotori dell’organizzazione criminale. Un altro degli imputati condannati, Antonio Figliomeni, che ha avuto 11 anni, è il fratello dell’ex sindaco di Siderno (Reggio Calabria) Alessandro, arrestato in un’altra operazione antimafia. Condannato a 15 anni anche Antonio Commisso, considerato il capo dell’omonima cosca di Siderno.

Le indagini avevano dimostrato pur mantenendo una struttura orizzontale, non ci sono più un insieme di cosche, famiglie o ‘ndrine scoordinate e scollegate tra di loro, ma un’organizzazione di “tipo mafioso, segreta, fortemente strutturata su base territoriale, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice”. Il vertice è rappresentato dalla “Provincia” o “Crimine”, del quale facevano parte le famiglie mafiose dei tre mandamenti (tirrenica, jonica e Reggio Calabria città) all’interno dei quali si muovono i “locali”. C’era poi il quarto mandamento, quello della “Lombardia” (per cui si è svolto il processo in appello a Milano), che raggruppa tutti i “locali” che operano nella ricca regione del Nord Italia ma che dipendono comunque dalla Calabria. Era lì che si prendevano le decisioni importanti come quella di reprimere nel sangue ogni tentativo autonomista dalla “casa madre”. Proprio come è stato per l’omicidio del boss Carmelo Novella, ucciso per le sue velleità separatiste. 

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