Una cornice di piccole luci e melograni sotto la maestosa facciata della Loggetta Lombardesca ha dato, forse per la prima volta a Ravenna, una lieve solennità al rito tradizionale del liscio romagnolo. Quel ballo un po’ buffo, fatto di saltelli e giravolte, che ha fatto arrossire i romagnoli che cercavano di emanciparsi dalla propria terra emigrando nelle grandi città.

Vergognandosene un po’ come di una vecchia zia che veste in modo bizzarro, che straparla e fa delle gaffe, ma a cui in fondo si vuole bene.  Quei fagotti un po’ striduli che hanno il sapore delle vecchie feste dell’Unità e delle balere di periferia, con i costumi luccicanti e i capelli tinti. Come molti balli popolari dall’estetica kitsch ha fatto rabbrividire gli intellettuali: il Ravenna Festival 2013 ha compiuto un passo importante per far superare la vergogna della propria terra, fatta di braccianti che volevano divertirsi dopo una giornata passata ricurva sui campi, di azdore che non conoscevano nemmeno il nome degli Asburgo, ma si ritrovavano a ballare la polka e la mazurka, a cui poco era rimasto dei nobili saloni dell’impero austriaco.

Una tradizione da molti considerata fasulla, perché il liscio non ha la storia antica della taranta o della pizzica, ma sostituì cante romagnole ormai dimenticate. La Romagna Mia di Casadei, infatti, risale agli anni ’50, gli stessi anni in cui oltreoceano Elvis Presley faceva scatenare i giovani al ritmo di una nuovo ballo, il Rock’n’Roll.

Da noi invece, dopo le bombe e le stragi di una guerra che aveva messo gli italiani contro gli italiani, l’amarezza veniva dimenticata con la fisarmonica. Centinaia di persone hanno assistito in questo mese ai numerosi concerti nella balera a cielo aperto che il Ravenna Festival ha allestito ai giardini pubblici. Lì si sono esibiti grandi nomi della musica come i jazzisti Gianluigi Trovesi, Gianni Coscia e Simone Zanchini, ma anche gli stessi musicisti delle balere e delle Feste dell’Unità come Orchestra Castellina Pasi, l’Orchestra Storia Di Romagna, Gabriele & Milva davanti a un pubblico più attento del solito, con l’orecchio teso a scoprire nuove sfumature in quei suoni familiari a tutti i romagnoli.

Oltre al pubblico le polke del festival hanno sedotto anche molti curiosi, che passando in bicicletta si fermavano incuriositi da quel luogo, da quella tratteggiata linea di luci, che hanno dato un valore a questa insolita commistione, in cui il confine di separazione tra popolare e colto è sempre più accademico che non reale.


Questo tributo è stato coronato dalla versione orchestrale delle musiche di Casadei eseguite dall’Orchestra Cherubini magistralmente diretta dal maestro Giorgio Babbini al Pala De Andrè, con la stessa perizia e serietà riservate a un Verdi o a un Mozart. Senza voler paragonare Verdi a Casadei, che parlavano due lingue diverse, è da ammettere che in pochi avrebbero potuto immaginare di vedere salire sul palco del maestro Riccardo Muti, il mitico Moreno Conficconi, in arte il Biondo, fenomeno del folklore e del costume locale entrato con la sua chioma senza tempo dell’immaginario dei romagnoli alla stregua di un personaggio felliniano. E così oggi qualche benpensante in più uscirà allo scoperto e ammetterà, forse a mezza voce: «Sì, anche io, qualche volta, ho cantato a squarciagola Romagna Mia, e am so godù la fàza».