Povero El Pistolero. Ha sparato le cartucce che aveva nella bandoliera. Ha cercato di fermare, almeno per oggi, l’infallibile sceriffo del Tour. Ha meticolosamente preparato l’agguato, ha preso la mira, ma ha fatto cilecca. D’un soffio, però ha fallito il bersaglio. Con calma, invece, lo sceriffo ha impallinato di nuovo El Pistolero che da qualche giorno ha già un nuovo soprannome: El Desperado.

Fuor di metafora, sulla pista insidiosa che portava da Embrun a Chorges, nella corsa contro il tempo, lo spagnolo Alberto Contador non è riuscito a scalfire il cronometro della maglia gialla Christopher Froome che per la terza volta in questo Tour 100 ha vinto e convinto. Non ha stravinto, ed è questa semmai la novità: si è accontentato di un bottino minimo, nove piccolissimi indiani, pardòn, secondi. Ma assai importanti, sotto il profilo psicologico: se è vero che il Tour de France assomiglia sempre di più ad una sorta di Far West del ciclismo (degli sport è, come dicono gli spagnoli, il più “agonico”), ecco è altrettanto vero che a dettar legge è il pallidissimo kenyota bianco della Sky.

Non gli serviva, a Froome, stravincere. Perché scialare energie quando domani lo attende per due volte l’Alpe d’Huez? Sarà la resa dei conti, assicura la parrocchia del ciclismo, come lo fu a Tombstone nel 1880, dove lo sceriffo Wyatt Earp aiutato dai due fratelli e dall’amico medico “Doc” Hollyday liquidò la feroce banda dei Clanton. La tappa non è lunga, 168,5 chilometri, ma micidiale perché già alla prima ascesa i corridori avranno già affrontato ben 2500 metri di dislivello ed è logico che ci sarà una robusta scrematura, che filtrerà il gruppo. Dopodiché, gli ultimi tredici chilometri dovrebbero scatenare la bagarre: essendo la discesa finale dal Col de Sarenne piuttosto impegnativa – o, come dicono i cosiddetti addetti ai lavori, molto “tecnica” – chi avrà la forza d’attaccare lo farà a tomba aperta per affrontare la seconda salita all’Alpe d’Huez con un rassicurante vantaggio.

La discesa è difficile ed esposta alle raffiche del vento. Se pioverà, i rischi di sbandare e cadere aumentano. Come si è visto in questa seconda tappa a cronometro, Froome è stato prudente, non è andato al massimo, per evitare guai: appena ha visto un po’ di umidità sull’asfalto, ha visibilmente rallentato. Sa che i quattro minuti e mezzo di vantaggio in classifica su Contador sono sufficienti per agire di rimessa. Una condotta saggia da parte sua sarebbe quella di non esagerare, come ha fatto ad Ax e sul Ventoux. Lo strapotere, nel ciclismo avvelenato, più che ammirazione suscita sospetti. Inoltre, a mio avviso, la tappa più infida del Tour è quella di venerdì, lunga 204,5 chilometri, con cinque colli e il Glandon dalla parte della Croix-de-Fer è una trappola: che arriva dopo le due Alpes d’Huez. Fra l’altro, dopo il Glandon c’è il Colle della Madeleine, altro cult degli scalatori. Infine, l’arrivo a piombo, in discesa a Le Grand Bornand non è un gioco.

Froome in salita si è dimostrato sinora irresistibile. Il suo dominio appare “oltraggioso”, questa sua straordinaria polivalenza – fortissimo in salita, altrettanto a cronometro – suscita molti interrogativi: Christopher è alto un metro e 86 e pesa 69 chili, ed è capace di esprimere enormi potenze. Nel ciclismo gli esperti parlano di “equazione potenza/peso”, ma la risoluzione è sempre assai complessa, talvolta inesplicabile. Qualcuno suggerisce che esistono prodotti specifici per consentire la riduzione del peso senza perdere la potenza: in queste ultime ore si legge e si sente dire di tutto, ma sinora i controlli antidoping cui è stato sottoposto Froome – una miriade – hanno dato risultati negativi. Il “mistero” Froome, casomai, riguarda lo squilibrio tra lui e il resto della squadra, abbastanza debole. Ma non lo spirito combattivo. Nei momenti più importanti del Tour, la Sky ha dimostrato carattere e abnegazione, sino all’estremo sacrificio. D’altra parte, come sa benissimo chi pedala anche solo la domenica, la bicicletta esaspera la voglia dell’uomo di misurare i propri limiti. E per qualcuno, è una questione quasi filosofica: la salita più dura è come l’ascesa al cielo, alla ricerca dell’assoluto.

Lettura consigliata – Henri Sannier, “Les histoires secrètes du Tour de France. Itineraire d’une passion”, Editions du Rocher, 2006. Con presentazione di Vladimir Fédorovski e prefazione – sic – di Laurent Jalabert. Ma allora, JaJa era l’eroe in bicicletta della Francia orfana di Hinault, Bobet Poulidor e Anquetil… Quanto a Sannier, è una star della tv francese e le storie che racconta sono quelle che gli hanno confidato alcune delle figure più emblematiche della Grande Boucle. Lettura indispensabile, ancor più interessante perché svela il lessico di una lingua che ha inventato il ciclismo. Infine, la citazione d’ouverture (traduco come posso): “Le persone che non amano il ciclismo, ci annoiano anche quando non parlano” (Michel Audiard). Parole sacrosante. Non esiste nulla di più bello che discutere del Tour davanti ad un bicchiere ghiacciato di champagne o di un borgogna robusto (amo meno i bordeaux).

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