Nei paesi europei l’economia generata da Internet contribuisce in media tra il 4% e il 7% al Pil, in Italia il valore è fermo al 2%. Gli studi di Confindustria Digitale confermano che lo sviluppo dell’economia digitale, se sostenuto da misure e politiche adeguate, potrebbe generare una crescita diretta del nostro Pil del 2% annuo. Il digitale, tuttavia, non sembra proprio essere tra le priorità del Governo, anche se paradossalmente il lavoro è uno dei temi ‘caldi’.

Nel nostro Paese si è andata comunque formando una vera e propria generazione di startuppers e di professionisti della Rete, che hanno lanciato idee e business alternativi e sostenibili nei più diversi ambiti professionali e stanno sperimentando nuovi stili di vita e di lavoro.

Una generazione che resta comunque destinata, almeno sul breve termine, a rimanere incompresa e sottostimata, in sostanza orfana di una legislazione ad hoc, anche se i dati dicono che in 15 anni il digitale ha creato 700mila posti di lavoro.

Le premesse per l’innovazione digitale erano state poste dal governo Monti, con il decreto Crescita 2.0 e la creazione dell’Agenzia Digitale, peccato che ancora si aspettino i decreti attuativi.

Non è tuttavia solo una questione di leggi. Dai dichiarati imbarazzi drei qualche tempo fa del ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato per la puntiforme, se non proprio inesistente, rete Wi-Fi italiana, e le affermazioni del ministro della Pubblica amministrazione Giuseppe D’Alia sul significato di Agenda Digitale, “vuol dire innovazione tecnologica che significa maggiore trasparenza, maggiore efficienza, maggior controllo sociale da parte dei cittadini, quindi minori sprechi”, è ben chiaro dove sia il vero nocciolo del problema.

In Italia non c’è una cultura della Rete: si confonde la digitalizzazione con l’innovazione digitale. Innovazione vuol dire novità, trasformazione, cambiamento, radicali e profondi, capaci di provocare un significativo svecchiamento, indipendentemente dal contesto cui la si applichi.

A oggi, nulla di tutto questo sembra potersi intravedere all’orizzonte. Il “Decreto del Fare”, che prevedeva nelle intenzioni misure riguardanti l’agenda digitale, ne è l’ennesima prova. E proprio in queste ore se ne discutono già le modifiche, soprattutto a proposito della tanto sospirata wi-fi libera (come in Europa).

In Italia, non solo Internet non è sfruttato come fattore di cambiamento, ma non sia ha la consapevolezza che possa essere così. Dovremmo invece usare le nuove tecnologie per rilanciare ciò che sappiamo fare meglio e considerare il web come un elemento di spinta verso un nuovo modello di sviluppo economico, sociale e lavorativo.

E’ un cambiamento che dovrebbe riguardare in toto la nostra società: a partire dalla scuola pubblica, passando per la Pubblica Amministrazione, coinvolgendo in questa crescita, prima culturale e poi economica, cittadini, imprese e istituzioni.

 

Alberto Mattei

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