Con grande sorpresa della comunità matematica internazionale lo scorso mese di aprile uno sconosciuto ricercatore sino-americano, Yitang Zhang, ha pubblicato la soluzione a uno dei più antichi problemi sui numeri primi, conosciuto come la congettura dei numeri primi gemelli. La carriera di Zhang si è svolta ai margini della comunità accademica: a quasi cinquant’anni è ricercatore (lecturer) presso un’università piuttosto defilata, per dei periodi ha lavorato come ragioniere, come “pony express” di un ristorante di New York, in un motel nel Kentucky e infine in un negozio di panini.  Questo caso mostra la vacuità della retorica della selezione dell’eccellenza che secondo alcuni, sempre curiosamente pronti a spiegare come si faccia per raggiungerla, deve iniziare dalla scuola superiore: una prospettiva che nasce, oltre che da un accecamento ideologico, da un fondamentale fraintendimento di come la scienza e la ricerca avanzi – non guidando comodamente in un’autostrada dritta ma muovendosi faticosamente in un terreno accidentale e intricato. 

D’altra parte questa situazione pone un problema molto complicato a chi si occupa di valutazione accademica: come scegliere chi reclutare, chi promuovere, chi finanziare? Vanno di moda i criteri che promettono di selezionare l’eccellenza, come se fosse possibile identificare le ricerche che potranno portare a scoperte importanti standosene seduti in qualche commissione e facendo riferimento solo alla popolarità accademica-sociologica (indici bibliometrici) dei vari ricercatori.  La domanda centrale è allora questa: il caso di Zhang è unico e irripetibile o vi sono stati, nel corso della storia e in discipline molto diverse, frequenti casi analoghi di ricercatori marginali che hanno fatto scoperte importanti?

Come ha mostrato il filosofo della scienza Donald Gillies, da un’analisi della storia delle scoperte scientifiche in varie discipline, dalla fisica alla medicina alla biologia alla matematica e alla filosofia, i casi tipo Zhang sono piuttosto frequenti: ricercatori che si ostinano a lavorare su ricerche apparentemente marginali, magari impopolari per un momento, ma che sono destinati a produrre brillanti risultati in futuro. Chi si pone il problema di come organizzare la ricerca, dovrebbe quindi considerare questi casi non come delle eccezioni impossibili, ma come facenti parti dello sviluppo stesso scienza e quindi immaginare come agire per creare le condizioni, o almeno per non eliminare la possibilità, che “l’inaspettato” avvenga. Purtroppo invece, molto spesso, chi promette l’eccellenza in realtà prepara la strada alla mediocrità.

Per capire il cambio di prospettiva che è necessario considerare, Gillies propone di pensare ad un’analogia con la teoria dei test statistici. I test statistici possono essere responsabili di due tipi di errore: di tipo 1 e di tipo 2. Un errore di tipo 1 si verifica se il test porta al rifiuto di un’ipotesi che invece è vera mentre un errore di tipo 2 avviene se il test conferma una ipotesi che è in effetti falsa. Analogamente una procedura di valutazione della ricerca commette un errore di tipo 1 se porta a cancellare finanziamenti  a un ricercatore (o un programma di ricerca) che avrebbe ottenuto ottimi risultati se avesse continuato nella sua ricerca. Per contro, una procedura di valutazione della ricerca commette un errore di tipo 2 se porta a continuare a finanziare un ricercatore che non ottiene alcun risultato rilevante  per quanto a lungo vada avanti.  

In genere ci si concentra esclusivamente sull’eliminazione gli errori di tipo 2 con l’idea di rendere la ricerca più conveniente ritirando i fondi ai “cattivi ricercatori” per darli piuttosto ai “buoni ricercatori”. Nessuna preoccupazione è dedicata alla possibilità di fare un errore di tipo 1: ritirare i finanziamenti ai ricercatori avrebbero compiuto importanti progressi se la loro ricerca fosse stata sostenuta. Eppure la storia della scienza mostra che gli errori di tipo 1 sono molto più gravi di tipo 2 errori.  In confronto con gli errori di tipo 1,  gli errori tipo 2 sono molto meno gravi. Il peggio che può succedere è che un po’ di soldi del governo sono spesi senza portare a nulla. Inoltre gli errori tipo 2 sono inevitabili dalla natura stessa della ricerca.

Per illustrare il problema supponiamo che vi siano quattro programmi di ricerca concorrenti con diversi approcci alla sua soluzione di un certo problema. E’ molto difficile giudicare a priori quale dei quattro programmi sia destinato ad avere  successo. Supponiamo che si rivela essere il programma di ricerca numero 3. I ricercatori dei programmi 1, 2 e 4 possono essere altrettanto competenti e laboriosi, come quelli che lavorano  programma di 3, ma, poiché i loro sforzi sono compiuti nella direzione sbagliata, non arriveranno da nessuna parte. Supponiamo che il programma 3 venga annullato al fine di risparmiare denaro (tipo 1 errore), quindi tutte le i soldi spesi per la ricerca nel problema porterà da nessuna parte. Sarà una perdita completa. D’altra parte, se è finanziato anche un altro programma (5), i costi saranno un po’ più alti, ma sarà ottenuto comunque un risultato di successo. Questo spiega perché gli errori di tipo 1 sono molto più gravi di quelli di tipo 2 e perché le agenzie di finanziamento dovrebbero fare in modo che alcuni finanziamenti vengano distribuiti a diverse linee di ricerca piuttosto che concentrarsi sul compito, senza speranza, di cercare di prevedere quale sarà l’approccio che a lungo termine si rivelerà di successo.

Per spiegare in modo più semplice la distinzione tra un errore di tipo 1 e di tipo 2 Gillies introduce una  analogia. “Supponiamo di avere un sistema di separazione dai diamanti ordinari dei diamanti rosa che hanno un valore, diciamo, mille volte superiore ai primi. Supponiamo che questo sistema funzioni in modo molto efficiente nell’eliminare diamanti difettosi senza valore, ma abbia anche un difetto fondamentale: ogni tanto invece di eliminare il diamante imperfetto, elimina i diamanti rosa. Si può ben suppore che una volta scoperto questo difetto i produttori di diamanti smetterebbero subito di usarlo. Un’organizzazione sbagliata della ricerca può avere lo stesso difetto: buttare via il diamante rosa, i ricercatori che si ostinano a lavorare su ricerche di minoranza, magari impopolari per il momento, ma che sono destinati a produrre brillanti risultati in futuro”.

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