Bruce Springsteen, Stevie Van ZandtLo “sciamano” Jim Morrison sosteneva che le origini del rock and roll fossero “simili a quelle del Teatro greco, il quale ebbe inizio nelle aie, in stagioni decisive, e in un primo momento consisteva in un gruppo di accoliti che danzavano e cantavano. Poi, un giorno, una persona posseduta uscì dalla folla e cominciò a imitare un dio”. Certi concerti, è vero, ti fanno capire quanto quest’affermazione possa avere una certa veridicità di fondo. E pensare che sì, forse, è vero che il rock and roll sia diretto discendente dei “Misteri” evolutisi e adattatisi ai bisogni  e alle usanze della cultura laica del mondo moderno.

Can you feel the spirit?”. Sostenuto dalla celebre E Street Band, in divisa d’ordinanza, camicia nera dentro ai Levi’s neri anch’essi, e polsino sul braccio destro, ha esordito così, gridando questa frase, Bruce Springsteen,  l’altra sera a Roma, prima di aprire il concerto nell’ambito del Postepay Rock in Roma all’Ippodromo delle Capannelle. Già, perché, il Boss non è stato solo la rockstar  di passaggio in una Capitale europea. È stato molto di più: uno Sciamano. E celebrando il rito è stato in grado – come solo in pochi sanno fare – di creare un’atmosfera unica, capace di fornire un senso di trascendenza per l’intera durata dell’esibizione. Tre ore intense che hanno avvolto la mente e il corpo di ognuno dei 35.000 mila accorsi, proiettandoli in un altro mondo, carico di misteri. Una personale connessione con qualcosa di più profondo, strano e incredibilmente senza tempo.

Il “rito” si apre con Spirit in the Night, My Love Will Not Let You Down e Badlands, suonate tutte d’un fiato, senza soste. Il Boss, come al solito, è molto generoso e in barba a chi diceva che è fuori forma, che ha messo su qualche chilo, mostra una forma e un fisico invidiabili per uno della sua età. Perché è vero: leggendo i recenti articoli a lui dedicati, c’era il rischio di poter rimanere delusi. E invece l’esibizione si rivela essere un flusso ininterrotto di grandi emozioni. Si prosegue con  Death to My Hometown, dall’ultimo album Wrecking Ball, in cui Springsteen misura la distanza fra il sogno a lungo inseguito e la triste realtà americana, poi Roulette e Lucky Town. Come da tradizione, durante i suoi concerti, l’atmosfera e l’intesa con i suoi “adepti” si fanno ancora più dense, quando inizia a raccogliere le richieste dei fan via cartelli e striscioni. Summertime Blues, cover di Eddie Cochran, molto probabilmente non era in scaletta, ma come si sa, se un ordine prestabilito c’è, è stato approntato per essere infranto.  

Bruce si trasforma in un juke box ed esaudisce i desideri: Stand on It, Working on the Highway, Candy’s Room, e tra una canzone e l’altra urla “Romaaa”, carica il pubblico, vuol sentire la sua voce, vuol vedere le sue mani alzate verso il cielo. Il popolo springsteeniano che lo segue di concerto in concerto è ripagato da un’esibizione come sempre diversa, energica  e gioiosa.

She’s the One, Brilliant Disguise, Kitty’s Back sono solo alcuni dei grandi successi che ne hanno costellato la carriera. Incident on 57th Street, la splendida Rosalita (Come Out Tonight),  una sequenza di irresistibili classici del Rock, che racchiudono la promessa di fuga verso un’esistenza migliore. E per una sera,  New York City Serenade – eseguita per la prima volta fuori dal suolo americano, con un sestetto d’archi della romana Orchestra Sinfonietta  – diventa la serenata ideale per una città magica come Roma.

Le ore passano, ma il Boss è strepitante, non si ferma un secondo. Corre sul palco, stringe le mani degli spettatori delle prime file in estasi, fa qualche mossa da rocker consumato. Suona con grinta la sua chitarra, urla, incita mentre sui maxi-schermi vengono proiettati gli accordi, per la gioia dei giovani musicisti presenti e le immagini commoventi dei compagni di mille avventure perduti, Danny Federici e Clarence Clemons. Ora, i potenti assoli di sax che una volta erano eseguiti dall’amico Clemons, li ha ereditati suo nipote Jake Clemons, mentre Charlie Giordano, all’organo ha preso il posto  dell’altro membro scomparso “Phantom” Federici.

Lo show prosegue con Shackled and Drawn, Darlington County e Bobby Jean. E quando arriva agli ultimi versi di Waitin’ on a Sunny Day, il Boss nota fra il pubblico un bimbo con in mano una rosa rossa e un cartello a forma di cuore con su scritto “Bruce I Love You”. Lo fa salire sul palco, lo prende a cavalcioni sulle sue spalle, poi al bimbo visibilmente emozionato lascia l’incombenza di terminare il brano.
La prima parte del concerto si chiude con The Rising, il brano che nel 2008 è stato scelto dal presidente Barack Obama come inno durante la sua campagna presidenziale, e con Land of Hope and Dreams, canzone che richiama la figura di Woody Guthrie, il menestrello che ha plasmato uno spirito compassionevole e carico di un’umanità senza pari come Bruce Springsteen. E quando l’ingordigia prevale e si fa spazio il desiderio d’ascoltare un classicone del repertorio, ecco che dal cilindro viene estratta una muscolare Born in the Usa, con cui negli anni Ottanta Springsteen conquista definitivamente le platee di tutto il mondo. Non si risparmiano Bruce e la E Street Band. Schiena a schiena, il Boss e Little Steven van Zandt, come ai vecchi tempi, urlano contro il cielo una splendida Born to Run che mantiene alto il ritmo.

Da sciamano a sacerdote il passo è breve. Quando nota un cartello con su scritto “Se mi fai ballare con te, lui mi sposa”, fa salire sul palco la ragazza autrice del messaggio con cui balla qualche passo sulle note di Dancing in the dark. Subito dopo poi chiama a sé il di lei fidanzato, che non potendosi più tirare indietro, le inserisce l’anello al dito, fra gli applausi scroscianti di un pubblico in visibilio.

Dopo Tenth Avenue Freeze-Out,  il rito-evento si chiude con la cover di Twist and Shout dei The Top Notes e una coinvolgente Shout dei The Isley Brothers, che il Boss sembra non voler smettere di suonare per nulla al mondo, nonostante l’orario. L’adrenalina è a mille. Moltiplicata per 35.000. Saggia la scelta di portare alla bocca la sua armonica e suonare – per sbollire gli animi e riportare a una dimensione terrena – una bellissima, in versione acustica, Thunder Road. Tanto per esser certo che a ognuno del pubblico arrivasse il soffio insondabile e miracoloso della sua arte. Il modo migliore per chiudere un concerto superlativo. ViVe Le Rock!

 

Articolo Precedente

Capri, “l’isola futurista”: in mostra alla Certosa il Prampolini mai visto

next
Articolo Successivo

Tv, “Calore impassibile”: Fuori orario dedica una puntata a Franco Scaldati

next