Nei migliori romanzi gialli, dopo l’omicidio, gli investigatori vanno al funerale del morto ammazzato per guardarsi un po’ in giro e vedere se per caso tra la folla in gramaglie non si nasconda l’assassino. Ecco: qualcuno avrebbe dovuto farlo anche l’altro giorno, quando papa Bergoglio ha pregato per i ventimila morti del Mediterraneo, ha parlato di globalizzazione e di indifferenza, e ha denunciato coloro che “nell’anonimato prendono decisioni socioeconomiche che aprono la strada a questi drammi”. Perfetto. Con due allegati che preghiamo di mettere a verbale qui, en passant.
Primo allegato: tutti a battere le mani e a congratularsi per il grande gesto. Anche chi, naturalmente, ha votato la vergognosa legge Bossi-Fini. Oppure l’istituzione di quei piccoli lager per innocenti che sono i Cie. O ancora per il reato di clandestinità.
Secondo allegato: appena una dozzina di anni fa, a Genova, ma non solo a Genova, chi metteva al centro della sua agenda argomenti come questi – libera circolazione delle persone e non solo delle merci, guasti ed eccessi della globalizzazione, decisioni geopolitiche che provocano stragi su vasta scala – veniva allegramente manganellato. E non parlo solo di cattivissimi (peraltro impuniti) Black Bloc, ma di suorine, boy scout e pacifisti di varia specie e natura che avanzavano a mani alzate e venivano suonati come tamburi. Ora, che tutti gridino osanna e hurrà a questo coraggiosissimo White Bloc di nome Francesco fa piacere, ma – diciamo così – si segnala il ritardo.

Caso isolato? Direi di no. Per restare a una dozzina di anni fa (e dintorni), si pensi alla Tobin Tax, per dirne una, e in generale alla pretesa di tassare le rendite finanziarie. Non come si tassa il lavoro, eh (sacrilegio!), ma un pochino di più di ora. Anche lì, giù botte, sia vere che in metafora. Oggi, assorbiti i lividi (sia veri che metaforici), la Tobin Tax è una specie di realtà indiscutibile. Ne parlano i governi, ne discutono gli economisti, ne studiano effetti e benefici i ministri delle Finanze di tutto il mondo. Ecco. Caso isolato? Ri-direi di no. Mentre l’economia boccheggia, lo Stato si affanna a dire che pagherà i fornitori in tempi più brevi, i soldi non ci sono, l’edilizia scolastica scricchiola sulle teste dei ragazzi e un pendolare medio affronta il suo viaggio quotidiano verso il lavoro con lo spirito di Indiana Jones, ancora ci si intigna a fare il Tav tra Torino e Lione.

Anche qui, come si sa, ci sono di mezzo le manganellate, quelle vere e quelle metaforiche, nel senso che se sei contro l’Alta Velocità in quel posto passi automaticamente dalla parte dei violenti, dei cattivi, dei Black Bloc, dei luddisti, insomma sei ideologicamente inadeguato alla modernità. E questo, nonostante il primo ministro francese Jean-Marc Ayrault abbia detto chiaro e tondo che per la Francia non è cosa urgente (ne riparleranno dopo il 2030). E questo nonostante ben due sottosegretari ai Trasporti italiani (Girlanda prima, De Angelis ora) si lascino sfuggire che, se fosse per loro, ci sarebbero opere più urgenti (e, aggiungo io, anche più utili alla ripresa economica, all’occupazione, allo sviluppo, ecc. ecc.).

Ora, modesta proposta. O il nostro White Bloc preferito, il fuoriclasse argentino, va a dire messa in Val di Susa (e non credo si possa chiedergli tanto), oppure si comincia a pensarci due-tre-dieci volte a manganellare la gente che – come si dimostrerà anni dopo i referti del pronto soccorso – potrebbe anche avere ragione. E spesso, anzi, ce l’ha.

@AlRobecchi

Il Fatto Quotidiano, 10 Luglio 2013

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