Il Vescovo di Mazara del Vallo, Monsignor Mogavero, molto noto per il suo impegno in difesa dei diritti umani, ha negato i funerali religiosi al boss mafioso Mariano Agate suscitando l’ira della vedova Rosa Pace. Secondo la moglie del boss condannato all’ergastolo per la strage di Capaci e per numerosi omicidi e traffici illeciti, Monsignor Mogavero avrebbe voluto, con questo gesto, “adempiere ad una particolare esigenza di lancio di un improprio messaggio mediatico e giustizialista” e fare “carne da macello” della sua famiglia.

In verità, il Vescovo ha semplicemente adempiuto al proprio dovere, applicando peraltro il diritto canonico e interpretando, mi pare evidente, il sentire comune. L’accusa della signora, che addirittura parla di “carne da macello”, è grottesca: di carne da macello ne ha prodotta tanta il suo congiunto, senza pietà né, tantomeno, redenzione.

Si è mai chiesta, la vedova Agate, quanto dolore abbia procurato la condotta del marito alle famiglie delle sue innocenti vittime? Sa quanti morti ammazzati dalla mafia non hanno potuto avere delle esequie perché i loro corpi non sono mai stati ritrovati? Farebbe bene a chiudersi in “religioso silenzio”, invece di tentare, spudoratamente, il sovvertimento dei valori cristiani.

Per moltissimi anni i cittadini onesti, cattolici e non, hanno lamentato, a ragione, il silenzio assordante della Chiesa sulle organizzazioni criminali di stampo mafioso, espressione lampante del male. Oggi, che Papa Francesco riconosce finalmente l’estraneità dei boss al mondo cattolico, la decisione di Monsignor Mogavero appare, agli occhi di tutte le persone perbene, se non altro appropriata. Personalmente ho molto apprezzato il messaggio di riscatto lanciato dal Pontefice il 20 maggio scorso: i mafiosi si pongono fuori dalla Chiesa. Lo fanno autonomamente, rifiutando il messaggio evangelico.

Quello lanciato dal Papa e raccolto dai Vescovi è un segnale fortissimo, che rinnova il senso di legalità e la speranza in un mondo più giusto. Rosa Pace avrebbe dovuto, semmai, ripudiare il comportamento del marito e spingerlo, quantomeno, a dolersi pubblicamente per tutto il male compiuto, senza chiedere nulla. Cercare, adesso, di riabilitarne l’immagine, facendolo apparire come una vittima, è una forma di vile esibizionismo (la vicenda, infatti, non aveva avuto alcuna rilevanza mediatica prima della scomposta reazione della vedova). Non è la prima volta, del resto, che i parenti dei mafiosi cercano visibilità attraverso proteste risibili ed esecrabili come questa, trovando persino abbondante spazio sui media. Peccato: i familiari delle vittime, spesso, non riescono ad avere lo stesso trattamento dal mondo dell’informazione nonostante si battano per delle giuste e nobili cause nell’interesse della collettività.

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