Non sono contrario alla cessione di imprese italiane agli stranieri, anche pezzi pregiati del nostro made in Italy. Non ci trovo niente di scandaloso. Il problema non è quello. E’ vedere quale impresa si cede e a quale straniero. E credo che l’esigenza principale sia che il nuovo proprietario valorizzi l’azienda in Italia. E mantenga o meglio aumenti l’occupazione nel nostro Paese, sfruttando una maggiore disponibilità di capitale.

Gucci finì a suo tempo sotto il controllo della famiglia Pinault, francesi, quelli del gruppo Kering-Ppr. Gucci con i Pinault non ha fatto altro che espandersi e produce ancora tutto, ma proprio tutto, dalla fibbia delle cinture alle note borse con il manico di bambù, in Italia. I Pinault (soprattutto l’erede, François-Henri, riflessivo e prudente), ci hanno messo soldi e idee, rispettando l’italianità del gruppo. E’ stato solo un bene. Ad esempio, credo che, se l’Alfa Romeo trovasse il Pinault della situazione, tipo una bella ed efficiente casa automobilistica tedesca e non una Fiat qualunque, che in quel marchio non crede più da un bel pezzo, potrebbe svilupparsi, assumere, sopravvivere.

Ora è la volta di Loro Piana, finita nelle grinfie di Monsieur Bernard Arnaut, di Lvmh. Ma in questo caso, c’è qualcosa che non mi convince. Anzi, due cose. La prima: in genere a beneficiare dello straniero che arriva con tanti soldoni da investire e talvolta pure con qualche manager capace (non è detto) sono gruppi in difficoltà o piccole aziende che da sole non hanno la forza finanziaria di spiccare il grande salto. Loro Piana, leader mondiale del cashmere e di altri tessuti pregiati, non è niente di tutto questo. E’ un’azienda relativamente grande e che stava andando in controtendenza rispetto alla crisi: fatturato in crescita ancora a doppie cifre e non licenziamenti, anzi nuove assunzioni, perfino negli ultimi mesi.

Se c’era un’impresa che non aveva bisogno di nuove energie, fnanziarie e manageriali, questa era Loro Piana. E’ solo che l’acquirente, Arnault, ha fatto un’offerta che i fratelli Pier Luigi e Sergio Loro Piana non potevano rifiutare. Peccato. Ma veniamo alla seconda cosa che non mi convince.

Il personaggio: Arnault, appunto. Badate bene, troverete raramente nei media, italiani e non, articoli negativi su di lui, perché è uno dei principali acquirenti di spazi pubblicitari in giornali, riviste e siti. E così nessuno ricorda mai come il nostro, originario del Nord della Francia, iniziò la sua fortuna, negli anni Ottanta. Rilevò un gruppo tessile, Boussac, sull’orlo del fallimento, sostenuto da generose sovvenzioni dello Stato. Promise, ovviamente, di risollevare quell’impresa. Ma di lì a poco, in realtà, ne chiuse i battenti e con i fondi dei contribuenti francesi iniziò a investire e a creare quell’impero del lusso, che oggi possiede. E attenzione: Arnault non è come i Pinault. Arriva e decide tutto. E uniformizza, è il campione della globalizzazione della moda: delle borse e dei vestiti uguali in tutto il mondo, delle boutique scintillanti e cafone uguali in tutto il mondo. E’ il re delle sinergie a livello dei costi produttivi: non guarda in faccia nessuno. Pier Luigi e Sergio Loro Piana hanno mantenuto finora, con orgoglio e con le grinfie, la produzione nelle loro terre, rigorosamente in Valsesia, da dove il gruppo esporta in tutto il mondo. Speriamo che continui così. Sta di fatto che, se non sarà più completamente redditizio, a delocalizzare anche una parte della fabbricazione Arnault non ci penserà neppure tre secondi. 

Il problema non è se compra lo straniero. Chi se ne frega…Il problema è quale straniero compra.

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