Non chiamatemi maestro. Dal profluvio di appellativi e superlativi che accompagna la prima edizione dell’International Filmmaking Academy a Bologna, Bernardo Bertolucci se ne sottrae amabilmente. Gli studenti provenienti dalle università di Hong Kong, Corea del Sud, Stati Uniti e Canada che hanno affollato la prima lezione di cinema del settantaduenne regista di Parma sono atterrati sul pianeta Bertolucci privo di gerarchie professionali.

“Gli ho detto subito di dimenticare la cattedra”, ha spiegato l’autore de “L’Ultimo imperatore” incontrando la stampa in un hotel del centro città dove soggiornerà per pochi giorni, “Sono qui per uno scambio: voglio imparare dalla loro inesperienza e loro imparare qualcosa da me. Non è retorica, ma quello che speravo succedesse e che è successo”.

Un’attenta visione delle tesine video dei partecipanti, un confronto molto tecnico e pratico sulla realizzazione di un film, e un grande entusiasmo al cospetto di uno dei più blasonati “auteurs” del cinema italiano, amato in Europa e negli Usa, dove ha vinto parecchi Oscar: “E’ stato un dialogo sul cinema fuori dalle convenzioni. I ragazzi sono stati scelti bene, i loro lavori hanno qualcosa di speciale. In loro c’è qualcosa del cinema inteso come sogno, sono dei “dreamers”.

L’accademia diretta da Gian Vittorio Baldi (“un amico, a cui ho risposto volentieri di sì”) ospiterà in stretta collaborazione con l’Università di Bologna il primo anno di lezioni consacrandolo con l’arrivo, il 15 luglio, di un altro regista internazionale come l’iraniano Abbas Kiarostami. E, si racconta nel foyer, in attesa di Kim Ki-duk, Roman Polanski e Marco Bellocchio nel 2013.

“Quando un giovane mi chiede da dove cominciare per fare il regista gli rispondo sempre di andarsi a vedere almeno 2000 film”, spiega Bertolucci, “per fare questo sono fondamentali istituzioni come le Cineteche che archiviano, restaurano e ripropongono la storia del cinema. Guardate il successo in sala di un film come Vogliamo Vivere. Abbiamo molta strada da fare partendo della proiezione in prima visione di film in lingua originale”.

Anche se il settore culturale in Italia subisce ogni giorno ulteriori restrizioni alle sovvenzioni statali, come il paventato taglio del tax credit per la produzione cinematografica: “Anche “Io e te” ne ha usufruito. Sarebbe una sciagura accadesse in un sistema già così povero d’aiuti”.

E alla mente ritorna lo straordinario appello del regista parmigiano nel giugno del 2007 quando chiamò a raccolta i “100 autori” per far sentire la propria voce allo stato italiano che se ne stava dimenticando: “Se ci fosse un’occasione come quella, di chiamata collettiva, ridirei le stesse cose. Quella parole erano il risultato di 3 o 4 anni di frustrazione provocata della “malaeducation” della cultura berlusconiana. Ci vorrà del tempo prima che si dissolva la sottocultura che Berlusconi ha creato con le sue tv. E pensare che c’è stato un vuoto in mezzo, direi di qualche mese, non ricordo più il periodo preciso, ma è stato un momento bellissimo in cui non apparivano più personaggi come Gasparri e Brunetta”.

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