Settimo appuntamento con la nuova rubrica del Fatto.it: Leonardo Coen, firma del giornalismo italiano, racconta il centesimo Tour de France tra cronaca, ricordi, retroscena e aneddoti.

E’ proprio il Tour di Christopher Froome. Anche senza luogotenenti (Richie Porte), senza scudieri e vassallini, e senza nemmeno un gregario che gli allungasse una borraccia, nel secondo tappone pirenaico reso velenoso da cinque importanti salite si è trovato ben presto solo come un cane. Eppure, malgrado questa sua oggettiva posizione di debolezza, ha affrontato gli avversari e respinto i loro attacchi, rintuzzandoli ad uno ad uno. Invece di matarlo, lo hanno portato al traguardo in carrozza: evidentemente non avevano energie sufficienti per staccarlo.

I corridori della Movistar, la squadra di Alejandro Valverde e Nairo Quintana, per esempio, hanno tirato nelle ultime due ore tentando di sfiancare Froome, ma lui è rimasto tranquillo ai loro mozzi, costantemente in quinta o sesta posizione, buona per non farsi sorprendere. In fondo, poco cambiava per lui: quelli della Movistar stavano facendo esattamente ciò che avrebbero dovuto fare i suoi della Sky. E comunque, dopo la rituale cerimonia di fine tappa e il breve incontro sul palco di Bagnères-de-Bigorre con il presidente francese François Hollande (gran tifoso delle due ruote), ha avuto persino l’onestà di riconoscere d’avere affrontato momenti di difficoltà: “Non voglio mentire, ho passato una giornata davvero dura. Tatticamente, è stata una tappa in cui sono rimasto a ruota degli altri leader. Era chiaro che i miei compagni pagassero gli sforzi di sabato: sono persone normali, mica superuomini…”.

E’ il Tour degli squadroni, le multinazionali del pedale, i miliardari del manubrio. A turno, pigliano in mano la corsa, relegando le squadre minori in ruoli marginali. La Cannondale ha strepitosamente controllato ogni metro della settima tappa, per consentire a Peter Sagan di vincere finalmente una volata.

E’ anche il Tour della ‘Grande Ribellione’. Nel senso che il gruppo non ha accettato la dittatura Sky. Si è formato un cantiere dove la rivolta è stata costruita coalizzando le forze e spedendo in avanscoperta i guastatori. I Garmin ci hanno provato all’undicesimo chilometro con David Millar e Jack Bauer e poi, successivamente Thomas Danielson e Ryder Hesjedal, il vincitore del Giro d’Italia 2012 mentre la Movistar spronava i suoi Ruben Plaza, Rui Costa, Jonathan Castrovjiero, Alejandro Valverde e Nairo Quintan. Saggiamente, Froome ha tenuto d’occhio coloro che ritiene al momento i più pericolosi: Valverde e Quintana. Il giovane colombiano ha avuto il ruolo di killer sull’ultimo colle della giornata, l’Hourquette d’Ancizan. Ma le sue pallottole non hanno scalfito la maglia gialla. Ad un certo punto, si è visto uno scatto di Valverde. Froome si è allarmato. Ma lo spagnolo voleva affiancare il compagno e rimproverarlo. Qualcosa non è andato secondo i piani? “Che potevo far di più?”, si giustificato Nairo, “ho attaccato quattro volte, ma non c’era molta pendenza e Froome ha sempre risposto ai miei allunghi”. Segno di rispetto. Quando è partito Daniel Martin, Froome lo ha lasciato andare. Vuol dire che non lo teme.

Nel macello di questa bollente nona tappa, Froome ha perso un fondamentale punto d’appoggio, quello di Richie Porte, sabato secondo all’arrivo e secondo in classifica, oggi sprofondato al 33esimo posto, con un distacco di 18 minuti e mezzo. Significa che la Sky dovrà riscrivere le strategie: il Tour è lungo, alla terza settimana lo attendono il Mont Ventoux e le due ascensioni all’Alpe d’Huez. La mitologia del ciclismo è ricca di eroi della bicicletta che si battono sino all’ultima pedalata: ma è uno sport di squadra, anche il Cannibale Eddy Merckx ogni tanto rifiatava grazie ai fortissimi gregari di cui disponeva. C’è il rischio di finire come il generale Custer, con gli indiani che prima lo circondano e poi lo uccidono senza pietà. L’anno scorso Froome era agli ordini di sir Bradley Wiggins. Insieme, hanno domato il Tour. Da solo, come ha imparato lungo i 168 chilometri da Saint Girons a Bagnères-de-Bigorre, è come correre sempre in salita. Ma questo è il bello del Tour.

Lettura consigliata –  Con Gianni Mura ho condiviso centinaia di sfide ai dadi (oh, ci giocavamo spiccioli: ci divertivamo perché giocando esercitavamo il gusto della battuta, il rincorrere con la memoria vecchie canzoni, slogan di caroselli o della pubblicità d’antan, citazioni che per noi erano eccitazioni). La Minimun Fax ha riunito in un volume alcuni dei suoi gustosi “pezzi” sul Tour de France che lui ha seguito per decenni. Si intitola La fiamma rossa (2008), ed è un riferimento a quella bandierina triangolare (apparve la prima volta al Tour del 1906) che segnala gli ultimi mille metri di corsa.

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