Diciamo che io sia uno di destra. Mi chiamo Luca. Ho quarant’anni e girando per le strade di Roma ho visto i muri pieni di manifesti per l’anniversario della morte di Giorgio Almirante (22 maggio 1988, ma i poster sono spuntati due giorni fa). Almirante me lo ricordo poco di persona, ma aveva una sua reputazione e mi piaceva: un capo di partito pulito, fuori dalle mafie.
Diciamo che della destra io abbia in testa i convegni del vecchio Fdg con Borsellino, le relazioni di Beppe Niccolai all’antimafia (che pure i comunisti gli stringevano la mano) e magari anche il mito dei treni in orario, che poi significa regole condivise, uno Stato che non imbroglia, cittadini che pagano le tasse in cambio di servizi e serietà. Diciamo che ricordi le campagne di Pisanò contro le ruberie dei socialisti e quella manifestazione di ragazzi sotto Montecitorio, ai tempi di Tangentopoli, con le magliette “Arrendetevi, siete circondati”.
Diciamo che a me, Luca, all’improvviso interessi fare politica. Per amore di un Paese che sta franando, per l’orgoglio della bandiera (il tricolore, sì, ricordatevi che sono di destra) ammazzato dalle lobby, dalla speculazione, dal declino di ogni senso civico. Dove vado a bussare?

Se in Italia uno di sinistra ha problemi (Renzi o EpifaniLetta o Vendola?) uno di destra è semplicemente out. Fuori. Non può fare politica. Con Berlusconi di certo non può stare: un partito che si rifonderà scegliendo i suoi dirigenti con un concorso stile X-Factor è antropologicamente agli antipodi di ogni cultura di destra esistente da noi. Senza parlare del resto. Dell’evasione fiscale, della concussione di pubblico ufficiale, della prostituzione minorile, reati che nella graduatoria del-l’indignazione di destra sono al top, molto sopra alla rapina a mano armata.

Fratelli d’Italia ha Giorgia Meloni, che è giovane e ardimentosa, ma alla fine tifa sempre per Berlusconi premier. E poi, c’ha pure La Russa, uno che da ministro spedì le Frecce Tricolori a Tripoli per festeggiare Gheddafi e gli avrebbe fatto soffiare fumo verde se il capo della pattuglia acrobaticaTammaro non si fosse ribellato (“O col tricolore, o non decolliamo”). La destra di Storace? Quando ne ebbe l’occasione candidò premier la Santanchè, mica Bottai. La destra di Alemanno? Ha governato Roma e ha promosso gente che neanche al circo. Vinse con gli slogan “di destra” sulla sicurezza e come delegato per la Sicurezza piazzò prima Piccolo (arrestato per associazione a delinquere) poi Ciardi (indagato per finanziamento illecito) e alla fine voleva mandarci il gen. Mori, quello sotto processo per la trattativa Stato-mafia, salvo scoprire che dirigeva già un analogo ufficio in Campidoglio.

Gli altri che vorrebbero resuscitare An? Non uno di loro che risponda alla domanda delle cento pistole: fate parte della schiera berlusconiana del “Siamo tutte puttane” o no?

Povero Luca. Brutto destino a destra. Trovarsi a invidiare persino il dibattito della sinistra, noioso e ipocrita, ma almeno esiste e non ha il tabù della leadership. Povero Luca, che ieri ha letto il telegramma di Napolitano per la morte di Anna Mattei, la madre dei ragazzi uccisi nel rogo di Primavalle, e si è ricordato quell’altra destra lì. Era il 1973, quando furono uccisi i Mattei. Berlusconi varava il progetto di Milano Due. Vittorio Mangano veniva assunto ad Arcore da Dell’Utri per “proteggerlo”. Luca non si capacita del paradosso, dell’asincronia tra le due immagini che pure, dopo quarant’anni, si sono totalmente sovrapposte. Come dargli torto? E come dirgli che per uno come lui, nella politica italiana, al momento non c’è spazio?

 

il Fatto Quotidiano, 6 luglio 2013

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