Diego Della Valle non ci sta a sgombrare il campo alla Fiat e rilancia sul Corriere della Sera. “Se il piano funziona prendiamo anche tutto l’inoptato (le quote della ricapitalizzazione in corso che non verranno sottoscritte, ndr) e quindi anche più del 20%”, ha detto il numero uno della Tod’s, dichiarandosi quindi pronto a salire nel capitale di Rcs Mediagroup, di cui al momento detiene l’8,7 per cento, per raggiungere una partecipazione analoga a quella che avrà il Lingotto venerdì 5 luglio al termine della ricapitalizzazione da 400 milioni di euro della casa editrice. Non senza precise garanzie da parte delle banche alle quali toglierebbe così le castagne dal fuoco.

L’annuncio del passo in avanti è arrivato alla vigilia della fine della difficile operazione che porterà nelle casse della casa editrice il denaro appena sufficiente per colmare la falla. E che lo stesso Della Valle ha ampiamente contestato nelle scorse settimane, salvo poi intavolare una lunga trattativa con le banche creditrici e azioniste del Corriere, Intesa e Mediobanca, a loro volta preoccupate per la parte di ricapitalizzazione non sottoscritta dai soci del gruppo editoriale che inizialmente sembrava vicina al 40%, per un totale di oltre 160 milioni di euro da spartire tra il gruppo di istituti garanti dell’operazione. Salvo l’intervento di un socio senza problemi di liquidità come appunto Della Valle.

Da qui la disponibilità a fare di necessità virtù e a cercare una diffcile mediazione tra le diverse anime rimaste nel “condominio” Rcs nel fuggi fuggi generale. Il risultato è che  l’imprenditore marchigiano, la cui posizione un pungo di settimane fa sembrava distante anni luce da quella degli altri soci alla guida del patto di sindacato che controllava l’editrice, ora può dire di aver ricevuto garanzia “dopo alcuni incontri richiesti da persone interessate”, per cui “se non ci sono controindicazioni, domattina sottoscriviamo”. Per poi aggiungere “speriamo che non ci sia da fare una battaglia”, anche se lo scontro con la Fiat e il suo presidente, John Elkann, sembra inevitabile senza un ruolo attivo delle diplomazie bancarie.

”Non mi è sembrata una cosa giusta comprare diritti sul mercato. Acquistarli era una delle cose meno difficili e meno costose da fare”, ha precisato a proposito della scalata della Fiat che venerdì 28 giugno aveva annunciato a sorpresa di essere in procinto di diventare il primo azionista del quotidiano di via Solferino. Per il quale auspica “che cinque azionisti si mettano al 10 per cento e gestiscano l’azienda senza patti di sindacato”. Quanto alla Fiat, “ha il 20% e le maggioranze si fanno al 51%”. Gli accordi parasociali, ha ribadito, “andavano bene in altri tempi quando governavano altre persone. I gruppi editoriali devono essere gestiti da chi sa farlo”, ha concluso.

Terminato l’aumento, in pratica, “ci si dovrà sedere al tavolo” per eliminare una volta l’accordo “ridicolo” e di “altri tempi” (“Ho incontrato tutti gli azionisti eccetto Fiat” e “c’è una condivisione sullo scioglimento del patto”). Se poi il piano funzionerà “siamo pronti a prenderci tutto l’inoptato delle banche che potrebbe essere anche più del 20%”. Come dire: per ora faccio la mia parte, poi quando avrò visto le carte con le relative garanzie, sarò disponibile ad accollarmi anche quella degli istituti di credito.

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