Trecentomila accessi alle banche dati degli operatori privati in sei mesi.

Sarebbe questo il numero di accessi effettuato dai nostri servizi in base al decreto Monti, che come è noto, dall’inizio di quest’anno consente l’accesso diretto alle banche dati delle  società private (ed ai concessionari di pubblico servizio) ai nostri servizi di intelligence. Eppure ancora oggi c’è chi parla di “bufale”.

Era il 29 marzo di quest’anno quando avvertii, scrivendone in questo blog, del pericolo della normativa appena varata.

Il risultato fu un coro di sberleffi ad opera dei tanti guru del web e non solo.

Alcuni giornali si rifiutarono di pubblicare la notizia ritenendola infondata, un autorevole esponente mi chiese testualmente, chi fossi io per dire cose di questo tipo, quando i riconosciuti “maitre à penser” del web non ne avevano parlato, un altro esponente del mondo dell’informazione mi disse che non poteva pubblicare la notizia perché non risultava dalle agenzie, mentre il canale informativo di un movimento  di larga diffusione mi fece sapere informalmente  che  la cosa non rivestiva interesse, preferendo lo stesso canale informativo  occuparsi di cose più di più stretta  attualità.

Oggi non ride più nessuno. Perché con i diritti dei cittadini non è lecito scherzare.
Se fosse confermato ciò che anticipano due quotidiani di larga diffusione,  tra i sottoscrittori delle convenzioni vi  sarebbero ad esempio anche l’agenzia delle entrate e il più grande gruppo di telecomunicazioni italiane.

Non so se  sia chiaro al lettore che  cosa significhi  potere avere accesso a tutti i metadati relativi alle nostre utenze telefoniche, ai dati di navigazione in internet, a quante mail abbiamo mandato,  a quante raccomandate abbiamo spedito e a chi, nonché poter accedere alle banche dati dell’agenzia delle entrate che oggi, con il sistema SID ha accesso (quello sì, secondo il garante a prova di privacy) a  tutti nostri dati bancari, alle assicurazioni stipulate, all’asilo dei bambini.

Sotto quest’ultimo profilo  bisognerebbe comprendere a cosa serva regolamentare scrupolosamente l’accesso ai dati dei cittadini  da parte dell’agenzia delle entrate se poi gli stessi dati sono oggetto di una convenzione tra la stessa agenzia e i servizi di sicurezza, che non è regolamentata dallo stesso Garante e di cui nessuno, ivi compreso il Parlamento è a conoscenza .

Ci preoccupiamo della NSA e delle nostre sedi diplomatiche, chiediamo a gran voce spiegazioni e non ci rendiamo conto che i dati raccolti dei cittadini italiani, nella quotidianità potrebbero essere profilati, incrociati, tenuti in un cassetto, condivisi, elaborati, passati ad altri soggetti, senza che un magistrato sia stato informato della necessità, o dell’opportunità di registrare questi dati.

Sono convinto della assoluta buona fede e della professionalità dei servitori dello Stato che sono lì per proteggere le istituzioni, e che niente di tutto ciò sia solo lontanamente accaduto, ma le rassicurazioni informali non possono bastare.

E bene faranno alcuni esponenti politici a porre le domande direttamente ai nostri Servizi, come accadrà nelle prossime ore al Copasir. Spero che le risposte non siano, come io temo, che i metadati non siano dati personali e che quindi non si applica la disciplina a protezione dei nostri dati personali.

A questo punto però logica vuole che vengano messe in campo alcune semplici attività.

La prima è senz’altro quella di predisporre e presentare  una proposta di legge o ( se il Governo ne ha la forza e la voglia) un disegno  di legge che  modifichi l’art 11 del decreto Monti, stabilendo che si possono esserci flussi informativi per motivate esigenze di sicurezza, ma che non possa farsi luogo ad un accesso diretto alle banche dati degli operatori privati, senza un preciso ordine del magistrato.

E “ca va sans dire” che tale modifica (e l’intero impianto normativo) venga sottoposta preventivamente al garante della privacy italiano, trattandosi di materia che, contrariamente a quanto forse si  replicherà sul punto, ha a che fare con i nostri diritti costituzionali .

La seconda riguarda la verifica puntuale di ciò che è previsto nelle Convenzioni che sarebbero state firmate per comprendere a quali tipi di dati possano avere accesso i nostri servizi.

La terza verifica forse dovrebbe avere ad oggetto i dati finora raccolti (se tali dati effettivamente esistono), dove sono detenuti questi dati?  Come è stato effettuato l’accesso? Dove sono confluiti? Sono stati cancellati?  Sono stati usati per indagini giudiziarie?

Solo se avremo il coraggio di cominciare a rispondere a queste domande potremo dire di avere a cuore il diritto alla privacy dei cittadini italiani.

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